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Brescia
di LUCIANO MONARI 15 giu 2017 22:05

Tutti insieme per la Gerusalemme celeste

"Nell’eucaristia che mangiamo assimiliamo il suo amore perché il suo amore spinga anche noi ad amare e a volere il bene degli uomini". La riflessione del vescovo Monari in Piazza Paolo VI al termine della processione del Corpus Domini

Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata dal vescovo Luciano Monari ieri sera in piazza Paolo VI al termine della processione cittadina del Corpus Hominis.

"Nella lettera Evangelii Gaudium papa Francesco dedica alcune belle pagine alla ‘Sfida delle culture urbane.’ Ci ricorda anzitutto che, secondo la rivelazione biblica, l’immagine che riassume tutte le promesse è quella della Gerusalemme celeste; e su questa base c’invita a uno sguardo contemplativo sulla citta, “uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle strade, nelle piazze. La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare sostegno e senso alla loro vita. Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia.” E aggiunge significativamente: “Questa presenza (di Dio) non ha bisogno di essere fabbricata; deve piuttosto essere scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, anche se lo fanno a tentoni, in modo impreciso e confuso.” Provo allora a proporre alcune semplici riflessioni che aprano a uno sguardo contemplativo sulla città, come ci chiede il Papa, a partire dall’eucaristia che onoriamo in questa solennità del Corpus Domini.

L’eucaristia si fa col pane che viene dalla terra (quindi dal mondo che Dio ha creato) e dall’attività sapiente dell’uomo: il contadino che semina e miete; il mugnaio che macina e fa la farina; il panettiere che impasta e cuoce. Gesti semplici che ci vengono da tempi antichi, addirittura dalla rivoluzione neolitica; la tecnologia ha migliorato il modo di lavorare, ha diminuito la fatica, ma l’essenziale rimane: è il lavoro intelligente dell’uomo che si procura il cibo trasformando i prodotti della terra. Da qui a riconoscere la dignità del lavoro umano non c’è che un passo: e siccome i diversi lavori si collegano gli uni con gli altri, la città prende l’immagine di un tessuto dove i diversi fili s’intrecciano secondo un disegno unitario giungendo a produrre una stoffa bella e varia nei suoi colori e disegni, robusta nella sua trama. È questo il primo messaggio dell’eucaristia, messaggio antico ma pur sempre decisivo: “Con la concordia le cose piccole diventano grandi, scriveva Sallustio; con la discordia anche le più grandi finiscono per crollare.”

Secondo. L’uomo ha bisogno di un certo numero di calorie ogni giorno per stare in piedi e il pane, nella nostra cultura, rappresenta tutte le forme di cibo di cui ci nutriamo. Assimiliamo i cibi, certo, ma in modo umano. Non ci basta metterci in bocca il pezzo di pane: ci sediamo a tavola, a una tavola apparecchiata con stoviglie e posate, qualche volta addirittura ornata con fiori o candele; ma soprattutto insieme ad altre persone, familiari o amici o conoscenti. Il pasto è un rito; serve a nutrirsi, ma serve anche a rallegrare il cuore, a creare, gustare e consolidare i legami interpersonali. Gesù ha voluto l’eucaristia anche per questo: per mettere insieme, attorno alla medesima sorgente di energia spirituale, le diverse persone. Ciascuno custodisce i propri interessi privati e di gruppo; e però ciò che consideriamo più importante di tutto, il dono della salvezza che viene da Dio attraverso Gesù Cristo, questo l’abbiamo in comune e lo possiamo gustare solo insieme agli altri, non privatamente. Se la domenica mattina ci troviamo tutti insieme a celebrare l’eucaristia, non è solo per un motivo pratico – perché non sarebbe possibile celebrare una Messa per ciascuno separatamente. L’essere insieme è uno degli obiettivi che l’eucaristia si propone; diventiamo ‘umani’ stringendo rapporti umani con gli altri, controllando le nostre aggressività, guardandoci negli occhi. I primi scrittori cristiani hanno sottolineato che un pezzo di pane richiede l’impasto di molti chicchi di grano e una coppa di vino la spremitura di molti acini d’uva; nello stesso modo i molti che celebrano l’eucaristia diventano un popolo solo, anzi un unico corpo, il corpo vero di Cristo.

Facciamo allora il terzo passo. Usiamo il pane frutto del lavoro umano; condividiamo il cibo insieme con altri. Aggiungiamo ora che nell’eucaristia facciamo tutto questo per obbedire a una parola esplicita e forte di Gesù. E’ lui che il giorno prima di morire, trovandosi a celebrare la Pasqua coi suoi discepoli, ha preso un pezzo di pane, ha benedetto Dio per quel pane, poi lo ha spezzato e lo ha dato ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate: questo è il mio corpo per voi.” Si può dire che con questo gesto Gesù ha provveduto a lasciare in eredità ai suoi amici quello che aveva di suo, la sua propria vita. Il giorno dopo egli sarebbe morto sulla croce, condannato come un malfattore; ma la sera prima, in piena libertà, Gesù aveva voluto trasformare la croce da violenza subita in gesto di amore; aveva voluto consegnare la sua vita in dono agli amici che aveva amato. E volendo che questo dono si perpetuasse nel tempo, aveva comandato loro: “Fate questo in memoria di me.” Parole di Gesù; quindi parole efficaci, che fanno esistere quello che dicono. Il pane che Gesù benedice e spezza è davvero il suo corpo; e quando i discepoli obbediranno a Gesù facendo quello che egli ha comandato, anche allora quel cibo sarà davvero la vita di Gesù nella forma di un pane spezzato.

Bisogna però ricordare che non solo la morte, ma tutta la vita di Gesù ha avuto come scopo quello di dare la vita al mondo: le parole con cui egli ha annunciato il vangelo; le guarigioni, gli esorcismi, le risurrezioni… In modo sintetico ce lo ricorda un’espressione del vangelo di Giovanni: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.” Il pane dell’ultima cena, che diventa il pane delle nostre Messe, contiene tutto il percorso dell’amore di Gesù, dall’inizio fino alla croce che di questo amore è il culmine e il sigillo. Nell’eucaristia che mangiamo, perciò, assimiliamo sotto forma di sacramento le parole che Gesù ha pronunciato in modo che diventino nostre; assimiliamo le azioni di guarigione che Gesù ha compiuto in modo da essere noi stessi guariti; assimiliamo il suo amore perché il suo amore spinga anche noi ad amare e a volere il bene degli uomini. L’eucaristia è il corpo di Cristo che ci viene donato perché anche noi diventiamo corpo di Cristo: non ciascuno isolatamente, ma tutti insieme per la condivisione dell’unico pane. Nessuno di noi è il corpo di Cristo; ma ciascuno di noi è membro del corpo di Cristo nella misura in cui e fino a quando egli vive in comunione con gli altri con la medesima carità, in vista del medesimo obiettivo.

Non è ancora tutto. Il gesto con cui Gesù ha donato la vita per il mondo traduce nel flusso della storia umana la volontà eterna del Padre: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna.” Che cosa aggiunge questa ultima dimensione teologale dell’eucaristia? Moltissimo. Dio è creatore del mondo e il mondo in tutte le sue determinazioni (gli elementi e i composti chimici, le diverse forme viventi dalle più semplici alle più complesse, gli eventi della natura e della storia) rientra direttamente o indirettamente nella volontà di Dio. Se questo è vero, allora l’eucaristia non sta solo nel cuore della vita di Gesù, ma sta al centro dell’universo come punto focale nel quale si uniscono tutte le diverse linee di forza del cosmo. Il mondo è un insieme in continua trasformazione: tutto quello che è nel mondo è il risultato di eventi del passato ed è a sua volta materia degli eventi futuri. Dal big bang ad oggi, in tredici-quattordici miliardi di anni si sono formate le stelle, le galassie, i pianeti; sulla terra (e forse anche altrove) si è formata la vita e la vita ha preso forme sempre più complesse che suscitano, in chi le osserva e le studia, stupore e meraviglia infinita. Con l’apparizione dell’homo sapiens è iniziata anche una nuova forma di trasformazione, quella determinata non dalle probabilità emergenti, ma dalle libere scelte dell’uomo – tutto il lungo processo storico che ha condotto alla formazione delle società e delle culture. C’è un senso a tutto questo? c’è una direzione, uno scopo, un obiettivo? La scienza si preclude metodologicamente questo interrogativo che non ammette risposte dimostrabili e falsificabili.

Ma la domanda rimane; l’uomo non si rassegnerà mai a una vita senza senso. Nel momento in cui facciamo l’eucaristia, noi proclamiamo che il punto culminante della trasformazione del creato è l’amore, un amore simile a quello che riconosciamo nella vita di Gesù. Non quindi l’amore possessivo che si vuole padrone assoluto del mondo e cerca di fagocitare l’altro, ma l’amore che, partendo anche dal desiderio di possesso si eleva progressivamente verso la capacità di donare, di dire di sì alla propria vita e alla vita degli altri, di dire di sì anche alla morte. Dire di sì con un atto autentico di amore che in ogni momento, bello o brutto, gradevole o sgradevole, si consegna con gratitudine a Dio e al mondo vissuto come ‘creato’, che porta in sé il disegno di Dio. Ecco quello che abbiamo voluto dire questa sera; dire a noi e a tutti coloro che ci vogliono bene; a tutti coloro che cercano un senso autenticamente umano alla loro fatica quotidiana. Come cristiani, abbiamo un’identità precisa alla quale non possiamo rinunciare, quella che abbiamo ricevuto dalla fede in Cristo e che l’eucaristia plasma progressivamente dentro di noi. Ma questa identità non ci separa da nessuno: ci chiede, anzi, di farci umilmente carico del bene di tutti nella misura in cui questo bene dipende anche da noi. E ci chiede di collaborare sinceramente con tutti coloro, credenti o non credenti, che fanno propria la causa dell’uomo e del mondo. Come potremmo sentirci separati da chi, amando sinceramente l’uomo e operando per la sua vita, si trova sulla lunghezza d’onda della volontà di Dio? Intendiamo così la nostra appartenenza alla città: lavoriamo insieme con tutti per consolidare e abbellire il tessuto cittadino; partecipiamo insieme all’eucaristia per creare legami di fraternità, di solidarietà e di corresponsabilità; facciamo memoria di Gesù per diventare sempre meglio partecipi del suo amore per l’uomo; rendiamo grazie a Dio per condividere in modo attivo il suo sogno: l’umanità come una città salda e compatta, che pena e vive la civiltà dell’amore, la Gerusalemme celeste".



LUCIANO MONARI 15 giu 2017 22:05