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di ANDREA CASAVECCHIA 05 gen 2017 11:14

Una scomoda eredità

Il mondo digitale, con le sue numerose piattaforme social favorirebbe la diffusione di mezze verità, piccole o grandi bugie che affascinano, perché riscaldano il cuore o, all’opposto, danno sfogo alla nostra rabbia

Nell’anno appena trascorso abbiamo preso atto che diamo molto affidamento alle emozioni e ai sentimenti; prestiamo facilmente ascolto al “sentito dire”. È quello che l’Oxford Dictionary indica come “post truth”, post-verità, eletta a parola dell’anno. Sono state avanzate analisi sulla facilità con cui si costruisce una falsa cultura: come si presti fiducia a qualsiasi informazione intercettata sui media, specialmente quelli di seconda generazione, come moltissimi siano attratti da notizie non verificate, che poi si rilevano bufale. Tutte contribuiscono a creare una pseudo-cultura, perché la cultura non è solo formata dalla scienza o dalla razionalità, ma anche dalle tradizioni, dalla saggezza popolare, dai costumi. Fabbricare notizie parascientifiche coerenti ad alcuni valori è un modo credibile di costruire una post-verità.

Il mondo digitale, poi, con le sue numerose piattaforme social favorirebbe la diffusione di mezze verità, piccole o grandi bugie che affascinano, perché riscaldano il cuore o, all’opposto, danno sfogo alla nostra rabbia. In un modo o nell’altro le sentiremmo vicine e così saremmo ben disposti ad accettarle, ma soprattutto a condividerle e quindi a diffonderle a nostra volta. Diventano le nostre post-verità che condizionerebbero la formazione delle opinioni, di scelte politiche o di nostri comportamenti. Una ricerca negli Stati Uniti mostra una realtà un po’ diversa. Gli statunitensi intervistati infatti dichiarano di essere consapevoli che molte notizie diffuse sul web e nei social media sono inventate. Inoltre circa il 23% le hanno condivise sui social. Secondo gli intervistati le responsabilità dei fake che si incontrano sono ripartite in modo equo tra motori di ricerca, piattaforme social e lo stesso pubblico.

L’indagine ci dice, allora, che gli utenti non sono completamente sprovveduti e sono consapevoli della possibilità di incontrare notizie false. Renderle post-verità, cioè credenze infondate, diventa poi responsabilità comune. Dovremmo comprendere che credibile non è sinonimo di affidabile. Sarebbe bello e opportuno che il 2017 ci aiutasse ad acquisire una maggiore responsabilità, perché tutti siamo divulgatori di informazioni, ma nessuno ha la preparazione per comprenderne fino in fondo la veridicità. Se proprio non possiamo farne a meno, un certo grado di modestia, che nasce dalla consapevolezza dei nostri limiti, dovrebbe aiutarci a interrogare esperti prima di condividere post-verità.

ANDREA CASAVECCHIA 05 gen 2017 11:14