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di GIUSEPPE MARI 21 lug 2017 15:30

Charlie, una vita che sfida

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La vicenda del piccolo Charlie, dei suoi genitori, dei pronunciamenti sanitari e legali sulla sua vita, delle risonanze pubbliche suscitate dalle decisioni che sono state prese e si stanno prendendo fa riflettere su più fronti

La vicenda del piccolo Charlie, dei suoi genitori, dei pronunciamenti sanitari e legali sulla sua vita, delle risonanze pubbliche suscitate dalle decisioni che sono state prese e si stanno prendendo fa riflettere su più fronti. Anzitutto pone dinnanzi alla tragedia della sofferenza che l’umanità affronta con sentimenti contrastanti – dall’angoscia alla fiducia – ma sempre particolarmente acuti quando riguarda un bambino. Rispetto al piccolo Charlie, com’è noto, ci sono stati interventi da parte delle autorità sanitarie e degli organismi legali che hanno optato per la sua soppressione essendo valutata disperata la situazione del paziente rispetto alle possibilità di cura. Di parere contrario sono i genitori che mostrano tutta la loro determinazione ponendo l’alternativa di un intervento terapeutico di tipo sperimentale, ma comunque praticabile – come è stato affermato anche in ambiente medico –. Tra le voci che si sono levate c’è stato un tweet di Francesco: “Difendere la vita umana, soprattutto quando è ferita dalla malattia, è un impegno d’amore che Dio affida ad ogni uomo”.

Al di là di come la si pensa, credo che si possano dire alcune cose. Anzitutto che la vita del piccolo Charlie è una sfida vivente, considerando che sta affrontando l’esistenza in condizioni precarie, ma che mostrano una rara efficacia nel porre la questione di fondo: quale valore ha la vita umana? Non vuole essere una domanda retorica ossia che si misura con la scontata risposta favorevole o contraria, ma una provocazione a pensare più in profondità. Infatti, lasciando da parte altre considerazioni (a partire dal fatto che padre e madre sono stati praticamente esautorati rispetto alla loro responsabilità genitoriale), mi pongo solo un quesito: se veramente, come hanno sostenuto i medici londinesi, l’Alta Corte del Regno e la Corte europea dei diritti dell’uomo, non c’è prospettiva terapeutica, come si spiega che oggi autorevoli voci mediche sostengano il contrario? Il tweet del Papa, invitando a difendere la vita, impegna a non lasciare nulla di intentato ossia a fare come i genitori del bambino. Viene infatti da pensare che, se non si fossero opposti, tutto sarebbe scivolato nel totale silenzio, con il risultato di non difendere la vita ossia di misconoscere il valore intrinseco dell’esistenza umana. Non sappiamo quale sarà l’epilogo della vicenda, ma sappiamo che la tenacia dei genitori sta facendo la differenza rispetto alla rassegnazione oppure alla possibilità che qualcosa di diverso possa accadere. Non è irrilevante né per il piccolo Charlie né per tutti noi.

GIUSEPPE MARI 21 lug 2017 15:30