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di GIACOMO CANOBBIO 13 ott 2016 09:11

Effimera, pensata... Cos’è la cultura?

Il vivace dibattito delle scorse settimane sulle iniziative culturali della città ha offerto notevoli stimoli a chi voglia difendere il valore della molteplicità delle manifestazioni o al contrario rimarcare l’efemericità delle stesse a fronte della necessità di programmazioni durature

Il vivace dibattito delle scorse settimane sulle iniziative culturali della città ha offerto notevoli stimoli a chi voglia difendere il valore della molteplicità delle manifestazioni o al contrario rimarcare l’efemericità delle stesse a fronte della necessità di programmazioni durature. A chi presti attenzione al dibattito e al linguaggio che lo caratterizza pare tuttavia che manchi un elemento fondamentale: una riflessione critica su cosa si debba intendere con il termine “cultura”. Ovvio che mentre si comunica con i social non si può andare troppo per il sottile. Una considerazione più pacata e fuori dalle polemiche appare però necessaria se si vuole evitare il rischio di semplificazioni che non contribuiscono a creare cultura.

Di questo termine sono state date più di duecento descrizioni, ricondotte poi a due significati fondamentali: quello classicista, secondo cui cultura è il patrimonio accumulato nel corso dei secoli da una persona o da un popolo; quello antropologico, che intende la cultura come il sistema simbolico nel quale le persone comprendono e strutturano la propria esistenza. Forse la descrizione più completa e più complessa è quella elaborata dalla Conferenza dell’Unesco a Città del Messico nel 1982: “Nel suo significato più ampio, la cultura può oggi essere considerata come l’insieme dei tratti distintivi, spirituali e materiali, intellettivi e affettivi, che caratterizzano una società o un gruppo sociale. Essa comprende, oltre alle arti e alle lettere, i modi di vita, i diritti fondamentali dell’essere umano, i sistemi di valori, le tradizioni e le credenze. […] La cultura dà all’uomo la capacità di riflessione su se stesso. Essa fa di noi degli esseri specificamente umani, razionali, critici ed eticamente impegnati. È mediante essa che discerniamo i valori ed effettuiamo delle scelte. È per essa che l’uomo si esprime, prende coscienza di sé, si riconosce come progetto incompiuto, rimette in questione le proprie realizzazioni, ricerca instancabilmente nuovi significati e crea opere che lo trascendono”.

Se si assume questa descrizione anche la classificazione ricordata tende a ricondursi a unità. Servendoci della descrizione riportata, si può porre l’interrogativo: “Le iniziative che hanno innescato il dibattito possono essere dette culturali?”. Traducendo la domanda: “Hanno contribuito a offrire ai cittadini elementi per prendere coscienza di sé, ricercare nuovi significati, creare opere che li trascendano?”. Indiscutibile che ogni forma espressiva dell’animo umano, dalla musica, al teatro, al gioco, alla danza, alla presentazione di libri, si propone come stimolo a pensare. La questione è se tutte le iniziative riescano a raggiungere questo obiettivo. Non è detto che tutte lo debbano fare. Ma nel caso non lo facciano ci si deve domandare se possano essere ritenute “culturali”. La domanda potrebbe essere valutata come proveniente da un noioso intellettuale. Con ciò non si sarebbe ancora mostrato che non sia pertinente. In tempi di scarse risorse economiche perché non selezionare, appunto in nome della cultura, le iniziative da sostenere? Se lo si facesse, si cadrebbe nella mortificazione della creatività espressiva? Non sarebbe invece aiutare a inventare ciò che effettivamente contribuisce a costruire un ethos meno individualista (sia esso personale o di gruppo) e quindi una cultura nel senso alto del termine? A volte si ha l’impressione che il cosiddetto “postmoderno”, notoriamente connotato da rapsodicità, frammentarietà, assenza di progetti condivisi, abiti la mente dei promotori di iniziative culturali (?). Si deve solo prendere atto di questo? Non si dovrebbe piuttosto introdurre correttivi a questo orientamento per offrire elementi di stabilità alle persone sempre più disorientate?

GIACOMO CANOBBIO 13 ott 2016 09:11