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Brescia
di LUCIANO COSTA 23 feb 2017 09:29

Perché patrimonio dell’umanità?

Alla corsa più bella del mondo, appellativo riservato alla nostra mitica “Mille Miglia”, nulla è vietato. Neppure l’idea che possa trasformarsi in un “oggetto” di culto preservato e reso patrimonio universale dell’Unesco

Alla corsa più bella del mondo, appellativo riservato alla nostra mitica “Mille Miglia”, nulla è vietato. Neppure l’idea che possa trasformarsi in un “oggetto” di culto preservato e reso patrimonio universale dell’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (in inglese Nations educational scientific cultural organization, da cui l’acronimo che la rende mondiale e accettata quale strumento super partes di pace e concordia tra i popoli). In verità non si tratta di un’idea nuovissima. Già qualche anno fa, infatti, qualcuno propose che la Mille Miglia fosse collocata al fianco dei beni immateriali protetti. Quell’idea, bella e incoraggiante per i destini culturali e artistici della nostra città, rimase però nel cassetto essendo, dissero allora i critici e i tecnici, “troppo largo il fiume che separa il bene comune dal bene privato”.

Riconoscere alla Mille Miglia valore di “patrimonio dell’umanità”, benché lusinghiero, imporrebbe, ipso facto, di fare una rivoluzione a cui, forse, noi e i detentori del marchio siamo massimamente impreparati. Tale rivoluzione, infatti, imporrebbe che nessuno possa essere escluso dal suo godimento; che ogni automobile titolata per partecipare alla corsa più bella del mondo non sia “proprietà indivisibile”, ma “divisibile”, cioè sua (del proprietario che l’ha profumatamente pagata dopo averla amata e coccolata) ma anche mia o di qualunque altro umano, purché abilitato a guidarla; che la corsa sia visibile dentro e fuori le solite mura; che nessuno continui a considerarla sua e a gestirla a modo suo.

Chi ha orecchie per intendere, intenda; gli altri continuino a nutrirsi di emozioni e, soprattutto, di ricordi. Che non sono mai uguali e parimenti classificati. Ve ne sono di quieti, ma anche di tumultuosi. Quest’ultimi contendono la scena ai tanti segnati da passione ed avventura. Tutti insieme, inesorabilmente, segnano lo scorrere del tempo, rincorrano vincitori e vinti, esaltano i turisti per caso e i ricercatori di emozioni, inventano la cronaca e la colorano ora di rosso, ora di nero, di grigio o di blu notte. In mezzo a tanto frastuono, ne sono certo, la Mille Miglia continuerà ad essere tutto e il contrario di tutto, sempre e solo un capolavoro preservato all’usura del tempo e delle mode, una sfilata di macchine sublimi, di nonne maestose uniche ed irripetibili, una corsa lunga un anno, un sogno che a volte prende forma per ascoltare l’applauso della folla. Cosa aggiungerebbe di più il titolo di “patrimonio dell’umanità”?

Forse un blasone, un titolo, un orpello, ma anche l’obbligo di fare quella rivoluzione egualitaria, bella ma antipatica e certo non gradita a chi può permettersi di “fare la corsa” senza sottostare al principio secondo cui un “bene comune” non può essere negato a nessuno. Storpiando il sublime pensiero del filosofo Emanuele Severino, si potrebbe attribuire anche alla Mille Miglia la funzione di ”eterna”, non per il gusto dell’impossibile, solo perché così si manifesta la sua originaria filosofia. Personalmente resto però dell’avviso che l’Unesco debba occuparsi di ben altri e alti problemi.

LUCIANO COSTA 23 feb 2017 09:29