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Brescia
di MARTA GALIAZZO 30 lug 2015 00:00

Brignoli: Sanità lombarda tutta da riformare? No, forse è solo da "ritoccare"

In Consiglio regionale ancora aperta la discussione sulle modifiche necessarie allo sviluppo della competenza territoriale. Ovidio Brignoli, medico di medicina generale, spiega le lacune di questo progetto e individua una possibile "ricetta"

È ripresa in Consiglio regionale la discussione sul progetto di legge sulla riforma della sanità lombarda, progetto di legge chiamato “Evoluzione del sistema socio sanitario lombardo”. Prevede l’integrazione delle strutture della sanità con quelle del sociale, sia a livello centrale (la Regione) che a livello territoriale. Da più parti si parla di riforma necessaria per rispondere a esigenze nuove e a complessità emergenti come l’allungamento dell’aspettativa di vita e l’aumento della cronicità. Ne parliamo con il dott. Ovidio Brignoli, medico di medicina generale che può vantare diverse collaborazioni con il Ministero della salute.

La domanda da porsi, e che anche voi come ordine professionale vi siete sicuramente fatti, è questa: quella in discussione in consiglio regionale è una riforma necessaria, utile?

La Regione Lombardia è una delle regioni in cui la riforma sanitaria ha sempre avuto un bilancio in pareggio e una sanità, a detta di tutti, di altissimo livello, anche europeo. Il sistema non era, quindi, totalmente da riformare, ma piuttosto da “ritoccare”, in particolare per quanto riguarda la sanità territoriale.

A suo avviso cosa c’è che non funziona nel progetto in discussione?

Il fatto che sia così poco considerata la riforma del territorio. La sanità si basa su due pilastri: quello ospedaliero, riguardante i pazienti con patologie acute che vengono ricoverate e quello territoriale, gestito dai medici di base. In Lombardia gli ospedali sono stati ampiamente riformati a partire dal 1995, mentre il territorio è rimasto pressoché inalterato. Questo va cambiato perché da un lato ci sono patologie nuove che richiedono maggiore assistenza sul territorio e dall’altro c’è la riduzione della disponibilità economica. La Regione Lombardia invece di sviluppare il sistema CREg (cronic related group) di presa d’incarico dei pazienti con patologie croniche, sta facendo scomparire la categoria dei medici di famiglia, che andrebbero responsabilizzati e dotati di personale amministrativo di supporto.

Cosa cambia o può cambiare nel rapporto tra medico e paziente con la "scomparsa" dei medici di famiglia?

Verrebbe a mancare la parte più importante della professione del medico di famiglia, ovvero la sua dimensione relazionale: la relazione individuale col paziente, del quale può seguire il percorso e offrire un processo di cura continuativo e monitorato, e la relazione con la comunità, di cui può controllare la situazione patologica a livello generale.

Qualcuno potrebbe obiettare che oggi il medico di base assomiglia di più a un "vigile" che indirizza verso la medicina specialistica senza prendersi veramente carico del paziente...

Questo è innegabile, perché oggi buona parte di questa categoria di medici ha rinunciato a un ruolo di responsabilità e di presa in carico. C’è però l'altra parte di questo ordine professionale che assolve il suo incarico pienamente. L’approccio più corretto non dovrebbe consistere quindi nello smantellare una medicina che funziona per metà, ma piuttosto fare in modo che anche l’altra parte dia i risultati sperati. Per fare questo c’è bisogno anche dell’azione di controllo e di monitoraggio dell’ente pubblico, che deve smuovere l’indifferenza di quei medici che in questi anni non hanno agito adeguatamente.
MARTA GALIAZZO 30 lug 2015 00:00