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Carpenedolo
di L. ZANARDINI 19 feb 2015 00:00

Chi l’ha detto che è impossibile accogliere?

Una ventina di giovani dell’AC sono impegnati direttamente nell’accoglienza di cinque profughi

Dall’Africa a Carpenedolo attraverso il Mediterraneo. Sono in cinque (tre del Mali e due del Senegal) e possono raccontare di avere superato quel viaggio della speranza che per molti diventa un percorso di morte, senza ritorno. Inizialmente accolti in un albergo a Esenta di Lonato, da metà novembre sono ospitati a Carpenedolo in un appartamento messo a disposizione dall’associazione Liberacion. L’Adl Zavidovici segue la parte burocratica, mentre una ventina di entusiasti e volenterosi giovani dell’Azione Cattolica di Carpenedolo fanno il resto: trascorrono insieme ai cinque profughi momenti di fraternità e di condivisione, scherzano, giocano e si confrontano con culture diverse. Si tratta di un progetto pilota, che nasce da una precisa sensibilizzazione dell’Azione Cattolica diocesana, scaturito dal progetto di solidarietà “Legami aperti”.

L’esperimento di Carpenedolo rappresenta un modello esportabile in altre parrocchie della nostra diocesi. “La presidenza diocesana dell’Ac ci ha chiesto – spiega Enrico Pesci, presidente dell’Azione Cattolica di Carpenedolo – se potevamo aiutare i profughi a trovare un alloggio, un’accoglienza per i mesi che si fermeranno in Italia. Ci siamo ritrovati e ne abbiamo discusso. Sulla scorta dell’iniziativa di solidarietà diocesana ‘Legami Aperti’, abbiamo deciso di buttarci in questa avventura e di accogliere questi cinque profughi. Questa collaborazione è nata grazie anche al contributo di un’associazione (Liberacion) di Carpenedolo che aveva già fatto questo tipo di percorso: ci siamo appoggiati a loro e abbiamo iniziato questo cammino di formazione. È un’esperienza arricchente. Siamo la prima parrocchia che aderisce, ma vogliamo dire a tutti quelli che vogliono tentare che questa sfida ‘è possibile. Si può fare’”.

Le realtà parrocchiali che hanno già mostrato un certo interesse (Concesio, Torricella, Ome, Costa Volpino...) saranno accompagnate in questo iter dalla presidenza dell’Azione Cattolica. Il lavoro non è facile e non è immediato, ma è una scommessa che segna un cambio di passo culturale in grado di superare stereotipi e slogan legati all’immigrazione. Al momento la comunità di Carpenedolo non è ancora consapevole della presenza di questi profughi, che sono ospitati nella casa messa a disposizione dal gruppo Liberacion. “Stiamo cercando di metterli in contatto con le persone che possono impegnare un po’ il loro tempo libero”. L’audizione per il riconoscimento dello status di rifugiato è fissata per il 2016, ma se – come sembra – diventa operativa anche a Brescia la Commissione di valutazione, potrebbe essere anticipata a settembre 2015: considerato il normale procedimento amministrativo, probabilmente si fermeranno nella Bassa Bresciana fino a fine anno. Nel frattempo la presenza dei profughi diventa occasione di crescita come testimoniano gli stessi volontari, perché l’incontro fa passare in secondo piano la paura dell’altro. “All’inizio – racconta Alessandro – ero scettico, soprattutto per gli impegni personali, ma poi ho compreso che anche solo 10 minuti ritagliati qua e là danno veramente tanto a noi più che a loro. Sono andato due volte a pranzo da loro dove abbiamo chiacchierato di cose che noi, schiacciati dal peso della routine, non consideriamo più. Sono stati incontri molto arricchenti”.

Il processo di accoglienza richiede, tra i passaggi obbligatori, l’alfabetizzazione. I ragazzi seguono un corso di italiano presso la scuola elementare di Carpenedolo, “noi – spiega Valentina – sosteniamo questo progetto aggiungendo altri tre incontri settimanali. Abbiamo notato dei miglioramenti. Ci confrontiamo con il professore che li segue in classe. Li aiutiamo nei vocaboli della quotidianità, mentre a scuola si concentrano di più sulla grammatica. Ci chiedono di poter fare qualcosa, anche a livello di volontariato. Vogliono dare una mano, vogliono sentirsi utili”. Monia, insieme al gruppo giovani, si occupa invece dell’intrattenimento in oratorio. “Non sono ancora chiare le loro storie (due hanno dei figli, nda), perché non è facile raccontare quello che hanno passato, anche se a volte le loro esperienze escono nelle chiacchierate informali”. Incontrarsi per conoscersi.
L. ZANARDINI 19 feb 2015 00:00