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Brescia
di R. GUATTA CALDINI 24 apr 2015 00:00

Divorzio breve: cosa c'è in gioco?

La recente legge che introduce il divorzio breve commentata dal vice delegato regionale dell’Unione giuristi cattolici italiani Riccardo Montagnoli

Per divorziare ci vorrà meno tempo, non più tre anni ma sei mesi, se la separazione è consensuale, al massimo un anno se si decide di ricorrere al giudice. L'Italia, ha il suo divorzio breve dopo il voto alla Camera dei giorni scorsi, nel quale si è registrato un forte consenso (398 sì, 28 no e 6 astenuti). Ne abbiamo parlato con Riccardo Montagnoli, vice delegato regionale dell’Unione giuristi cattolici italiani.

Quali sono i contenuti principali di questa legge?

Il periodo di separazione previsto per poi accedere al divorzio, che nella legge del ’70 era di 5 anni, poi portato a tre, è stato ulteriormente ridotto ai tempi già citati. Di fatto, oggi, potranno bastare solo 6 mesi dalla separazione per poi passare allo scioglimento definitivo del matrimonio.
Taluni commentatori hanno esplicitato le loro perplessità asserendo che questa legge non fa fronte a un’emergenza: il “divorzio breve” non rientrava nelle priorità… Il problema non è tanto legato alle priorità, in fin dei conti ogni Governo, ogni maggioranza, sceglie le sue priorità, fa delle scelte politiche, possiamo solo prenderne atto. Quello che è sfuggito al dibattito parlamentare, come ai primi commenti, è che con questa riforma si prosegue su una strada che sta modificando radicalmente il modello di matrimonio che abbiamo in Italia. Qui è stata data la massima importanza all’esigenza di due persone che ritengono di non poter più vivere insieme e, giustamente, dal loro punto di vista, chiedono di poter rifarsi una vita. E fin qui tutto bene. Si dimentica però che il matrimonio non è un affare di due persone. Il matrimonio è un impegno preso dai due coniugi anche nei confronti della comunità civile. L’interesse pubblico alla stabilità del vincolo matrimoniale, e sottolineo, sto parlando del vincolo matrimoniale civile, laico, non ovviamente del matrimonio religioso, mi pare che nella discussione su questa legge e nei primi commenti sia stato completamente dimenticato. Vorrei ricordare che la Costituzione riconosce il matrimonio come fondamento della famiglia, ma fa riferimento al matrimonio del 1947. Mi domando se questo nuovo istituto, che sta uscendo da queste riforme, sia rispondente al concetto di matrimonio che aveva spinto i costituenti a quella previsione nell’art. 29 della Costituzione.

Possiamo dire che si sta procedendo a una forma di “destabilizzazione della famiglia”, pensiamo anche ai prossimi passaggi sul ddl Cirinnà, o un’estremizzazione dei contenuti?

Ho l’impressione, come in tante altre cose, che si sta liquefacendo il senso della Comunità. La stabilità della famiglia è importante. Qualcuno può obiettare che se un matrimonio è fallito non è allungando i tempi del divorzio che si rende più stabile la famiglia. E’ verissimo, ama è anche vero che ormai tra un matrimonio e un’unione di fatto, alla fine, la differenza passa per pochi mesi di vincolo. Siamo sicuri che questo non indurrà a sottovalutare l’importanza degli obblighi che si assumono col matrimonio? Obblighi anche nei confronti della società civile in cui viviamo. Ho letto da qualche parte che andiamo verso l’Europa… io, invece, ho l’impressione che stiamo andando verso un modello non europeo, ma americano: un libero accordo fra due persone che possono anche decidere di interromperlo consensualmente quando vogliono. Gli stessi relatori di questa legge caldeggiano l’approvazione della norma sui patti prematrimoniali; gli accordi che vengono stipulati dai coniugi prima del matrimonio in vista del futuro ed eventuale divorzio, si può pensare quello che si vuole, ma questo è un istituto tipicamente europeo.

Hanno votato a favore della legge in maniera trasversale, maggioranza e opposizione…

Sì, i due relatori erano uno di maggioranza e uno di minoranza. E’ stata sicuramente una votazione trasversale. Ripeto. Non credo che ci si debba preoccupare del contenuto delle riforme. A preoccupare è invece il fatto che nel dibattito che ha accompagnato questa riforma non è stato capito cosa c’era in gioco… e non lo si sta comprendendo ancora oggi.

Esattamente, in gioco cosa c’è? L’istituto familiare?

L’istituto familiare. Ma anche il senso della responsabilità dei singoli verso la comunità. E’ un altro esempio di come, nei nostri tempi, su qualunque problema, dalla finanza privata e pubblica, alle scelte in materia di vita, di fine vita, ma potremmo dire anche relativamente alle scelte in tema di assistenza ai migranti… Ormai prevale soltanto il punto di vista individuale, l’occhio per l’inquadramento dei problemi, nell’ambito della comunità in cui viviamo, è svanito…
R. GUATTA CALDINI 24 apr 2015 00:00