lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Brescia
di M. VENTURELLI 31 mar 2016 00:00

Il referendum sulle trivellazioni: ultimo atto di un istituto svalutato?

Il 17 aprile gli italiani al voto per il 64° referendum abrogativo. La disaffezione al voto spiegata da Roberto Chiarini e le ragioni del voto

Rieccolo! Per la 64ª volta in poco più di 40 anni (42 per l’esattezza) gli italiani sono chiamati alle urne per un referendum abrogativo. Il 17 aprile prossimo sarà sottoposto al giudizio dell’elettorato un quesito promosso da nove consigli regionali (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) e che chiede che, al momento della scadenza delle concessioni, vengano fermati gli impianti di estrazione entro le 12 miglia nautiche, anche in caso di presenza di altro gas o petrolio nei giacimenti. Al di là dell’importanza della questione stampata sulla scheda, l’ennesima consultazione referendaria pone il tema dell’efficacia del più inflazionato tra gli strumenti di partecipazione in mano ai cittadini.

Quella delle consultazioni referendarie di carattere abrogativo è una storia segnata da una progressiva disaffezione degli elettori che sempre più spesso hanno disertato le urne, impedendo il raggiungimento del quorum necessario (la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto). In anni recenti soltanto i quesiti del 2011 (i tre sull’acqua “pubblica” più quello sul legittimo impedimento del Presidente del consiglio a comparire in udienza penale) hanno superato la soglia richiesta per la loro validità, dopo una serie di “bocciature” dell’elettorato iniziata nel 1999 e che ha riguardato qualcosa come 24 quesiti.

Per capire le ragioni di questa disaffezione è stato sentito Roberto Chiarini, politologo e storico. “Per comprendere il progressivo disinteresse degli elettori nei confronti dei referendum – afferma – bisogna considerare che si tratta di strumenti di democrazia diretta che si adattano bene a quesiti chiari, semplici e ben definiti. Quando questo requisito manca la gente non ha ragioni per recarsi alle urne”. Un limite che rischia, per Chiarini, di caratterizzare anche il quesito del 17 aprile prossimo che non brilla certo per chiarezza e semplicità.
Un altro limite che il politologo evidenzia è quello della progressiva politicizzazione dei referendum, un limite che la gente percepisce come deterrente al voto. “Solo in alcuni casi – ricorda ancora il politologo – il caricare i referendum di significati ben più ampi rispetto a quelli previsti dal quesito, ha pagato in termini di partecipazione”. Cita al proposito i due referendum del 1991 e del 1993 sulla legge elettorale, quesiti sofisticati, che l’elettorato non era in grado di comprendere ma che riuscirono a coalizzare tutta l’onda dell’antipolitica che stava venendo avanti nel Paese, per cui furono votati a furor di popolo perché rappresentavano un modo per dare un segnale di protesta nei confronti della cosiddetta partitocrazia.

Il reiterato ricorso al referendum sembra essere diventato una sorta di atto di accusa nei confronti della politica non più capace di assolvere al suo compito principale: legiferare... “E questo – afferma ancora Roberto Chiarini – è il dilemma consustanziale, drammatico delle democrazie rappresentative in cui il potere di decisione è delegato dall’elettorato ai propri governanti. Ma con classi politiche in parte delegittimate, sotto schiaffo per le ondate dell’antipolitica e della protesta, e con un quadro politico fragile senza maggioranze sufficientemente solide, è chiaro che la politica cerca di schivare un’assunzione di responsabilità magari costosa sul piano elettorale...”.
Quale futuro, dunque, per l’istituto referendario? “Credo – è la risposta di Chiarini – che il suo futuro sia molto incerto. Potrà avere ancora una grande funzione democratica se saprà essere riportato a quella che era la sua funzione originaria: strumento di consultazione su quesiti elementari, semplici e non ideologici.

Per il momento, comunque, gli elettori devono confrontarsi con il quesito del 17 aprile prossimo che, nella sua formulazione, non risponde certo ai criteri di semplicità e chiarezza indicati da Chiarini. “Volete voi che sia abrogato l’art.6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art.1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?”. Questo il testo che gli elettori troveranno sulla scheda che sarà loro consegnata ai seggi elettorali. Al di là della complessità della sua formulazione, quello del 17 aprile prossimo sembra presentarsi come un referendum anomalo perché, almeno nel Bresciano, ad oggi non c’è traccia di chi si stia facendo carico delle ragioni del No.

In questa fase di avvicinamento al voto sono molte di più le voci apertamente a favore dell’abrogazione della norma in questione. Tra queste c’è quella di Legambiente che, per bocca di Isaac Scaramella (nella foto), spiega le ragioni di questa posizione. “Tutto il mondo ambientalista – afferma al proposito – è schierato per il sì per alcune ragioni evidenti. Le piattaforme causano, sulla scorta di ricerche dell’Ispra, inquinamento. La semplice attività estrattiva fa registrare aumenti di inquinamento da metalli pesanti (mercurio) nella fauna attorno alle piattaforme. Questo causa una risalita dell’inquinamento nella catena alimentare sino ad arrivare all’uomo”. Per l’esponente di Legambiente, il referendum del 17 aprile ha un’importanza che va oltre l’aspetto tecnico. “Al di là della durata delle concessioni per le piattaforme poste entro il limite delle 12 miglia dalla costa – afferma – con il sì si possono gettare le basi per una transizione energetica. Bisogna capire che per il bene dell’uomo e dell’ambiente bisogna dismettere un modello basato sugli idrocarburi a vantaggio di uno basato sull'efficienza energetica e le fonti rinnovabili. Per questo è fondamentale recarsi alle urne”.
M. VENTURELLI 31 mar 2016 00:00