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Brescia
di LUCIANO ZANARDINI 15 ott 2015 00:00

La lezione d'amore di don Piero

Martedì 13 ottobre al Centro pastorale Paolo VI è stato presentato il volume “Don Piero Ferrari. La civiltà dell’amore” edito dall’Istituto di cultura “G. De Luca” per la storia del prete

Chi ha conosciuto da vicino, o attraverso le sue opere, la figura di don Piero Ferrari, sa che la sua eredità spirituale è cospicua, pesante, impegnativa. Chi non ha avuto questa fortuna ha l’opportunità di cogliere la ricchezza di questo uomo e la sua eredità nelle pagine del volume “Don Piero Ferrari. La civiltà dell’amore” (409 pagine, 15 euro) edito dall’Istituto di cultura “G. De Luca” per la storia del prete. Non chiamatela biografia, perché gli autori (Cristina Gasparotti e Angelo Onger, meticolosi e attenti ricercatori) non sono dello stesso avviso… è piuttosto un viaggio nella spiritualità, profonda, di don Piero Ferrari, un sacerdote che – come ha sintetizzato bene mons. Gabriele Filippini durante la presentazione al Centro pastorale Paolo VI – ha avuto il merito di traghettare nel ventunesimo secolo quelle virtù care ai santi bresciani dell’Ottocento. Sì, la virtù, che, citando le parole di don Ferrari, è la “capacità di ripetere facilmente atti orientati al bene; essa si acquista attraverso l’esercizio e con quell’intelligenza affettuosa, che traduce nella vita i lineamenti di Gesù, l’uomo perfetto. Le espressioni della virtù vanno dalla fede alla solidarietà umana. Sono un mazzo di atteggiamenti, che distribuiamo quasi senza accorgerci, con la parola, col gesto, col diniego, col sorriso. A Dio piace l’uomo virtuoso”. Uomo eclettico e grande appassionato di musica (nonché abile suonatore di più strumenti), ha amato (sul modello dell’amore trinitario) la vita.

Le opere. Ha coniugato l’azione e la contemplazione con uno sguardo attento alla realtà. Anche per questo, imitando Cristo, ha saputo tendere l’orecchio al grido di dolore dell’umanità. In che modo? Con la sua spinta profetica che l’ha portato, nel 1984, a dare vita a Raphaël, la cooperativa impegnata nella prevenzione, diagnosi e cura del cancro: “Tutte le opere di don Piero, che si connotano come risposte inedite alle nuove emergenze sociali, sono sorte nella prospettiva di rinnovare ‘dal di dentro’ la società, sostituendo la contestazione con una seria testimonianza di vita”. “La civiltà dell’amore”, profetizzata anche da Paolo VI, è un chiaro richiamo a un’esperienza di accoglienza, spirituale e materiale, dell’altro. Su queste fondamenta, nel 1971 ha “generato” una comunità femminile laicale (Mamrè), che gestisce numerose comunità d’accoglienza per minori, anziani e disabili, mentre nel 1969 era sorta la Comunità maschile di laici e sacerdoti del Cenacolo. “Don Piero, nelle sue riflessioni, si è soffermato sugli aspetti fondamentali della vita dell’uomo, a partire dalla dignità della persona, per illuminare il ruolo della coscienza, la presenza del male e la risposta misericordiosa di Dio, il rapporto con il mondo e il senso del potere”.

Il carisma. Non era, probabilmente, una persona facile da seguire, perché don Piero chiedeva a chi lo accostava, e soprattutto a chi lo seguiva, scelte radicali. Era sicuramente carismatico. E lo faceva da buon testimone, visto che era il primo ad applicare nella sua vita il motto evangelico che ci ricorda l’impossibilità di servire due padroni… “Non è mai stato un contestatore, ma – scrivono gli autori – non si è nemmeno mai appiattito sulla ripetizione monotona di abitudini scontate. Il che spiega il suo costante essere simultaneamente fedele all’ortodossia e aperto alle manifestazioni dello Spirito”. Lo spirito ha soffiato molto sulla storia di questo sacerdote dal sorriso contagioso nato a Clusane di Iseo nell’ottobre 1929 e scomparso, dopo un lungo servizio, il 31 luglio del 2011. Gli insegnamenti di un testimone come don Piero meritano discepoli capaci di prolungarne l’esempio.
LUCIANO ZANARDINI 15 ott 2015 00:00