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Brescia
di FRANCESCO ZULIANI 04 feb 2016 00:00

Abbiamo bisogno dei consacrati

Mons. Orsatti, vicario episcopale per la vita consacrata, traccia un bilancio dell’Anno. I consacrati dimostrano che si possono valorizzare criteri diversi

Il 2 febbraio si è chiuso, anche a livello diocesano con la celebrazione presieduta in Cattedrale dal vescovo Monari, l’Anno della vita consacrata indetto da Papa Francesco nel contesto dell’anniversario del Concilio Vaticano II, a 50 anni dalla pubblicazione di “Perfectae Caritatis” e del decreto sul rinnovamento della vita consacrata. In mezzo secolo la vita consacrata ha percorso un fecondo cammino di rinnovamento non esente da difficoltà e fatiche nell’impegno di seguire quanto il Concilio ha chiesto ai consacrati: fedeltà al Signore, alla Chiesa, al proprio carisma, all’uomo di oggi. È mons. Mauro Orsatti, vicario episcopale per la vita consacrata, in questa intervista, a proporre una riflessione sull’Anno trascorso.

Il Papa dice che non siamo chiamati a compiere gestiti epici né a proclamare parole altisonanti ma a proclamare la gioia che proviene dalla certezza di sentirci amati, dalla fiducia di essere salvati. I consacrati sono proprio espressione di questo amore di Dio...

I consacrati sono dei rivoluzionari disarmati e silenziosi. Non sono persone che amano apparire. A ben vedere quest’anno non ci sono state clamorose manifestazioni. Questo stile non toglie nulla al loro essere rivoluzionari perché è attraverso la loro vita dimostrano a questo mondo come si possano valorizzare criteri diversi rispetto a quelli già impiegati. Penso ai voti obbedienza, castità e di povertà che sembrerebbero molto distanti dalla mentalità corrente. Eppure dicono all’uomo quanto sia ripiegato sul suo egoismo perché cerca di affermarsi lo stesso, godere il più possibile. Ecco perché mi piace definire i consacrati dei rivoluzionari silenziosi. Se davvero vivono la loro vita in modo autentico mandano un messaggio che forse non è captato subito perché, non è rumoroso, non è appariscente, ma che diventa efficace. Incontrando un frate, una suora, una persona è portata a chiedersi come abbia da dirle questa esperienza di vita. Ricordo anche che c’è un settore della vita consacrata, quello dei sono i laici consacrati, in cui l’apparenza è ancora meno evidente. Non hanno un abiti che li caratterizzino, eppure hanno espresso dei con i voti... Questi vogliono essere come il lievito per la massa. Vivendo nello stesso ufficio, nello stesso appartamento con altre persone con la loro vita dovrebbero trasmettere messaggio almeno provocante, dovrebbero suscitare delle domande. A loro è data, per così dire, un’occasione in più per farsi conoscere.

La crisi delle vocazioni colpisce anche i consacrati o è la conseguenza di una scelta rivoluzionaria che oggi pochi comprendono?

La crisi di vocazioni è in parte fisiologica ed è dovuta a tante cause. È necessario però fare una grande distinzione tra la situazione italiana ed europea e quella di altri Paesi. in Italia e in Europa c’è un crollo verticale delle vocazioni causato anche dal calo demografico e dalla tendenza delle famiglie a fare sempre meno figli. C’è poi una questione culturale: se fino a 50 anni fa diventare prete o suora poteva essere un orgoglio della famiglia oggi non è più così. In altre parti del mondo, invece, la realtà è diversa: c’è un aumento esponenziale di missionari. Questo per dire che da noi c’è un calo di vocazioni ma in altre ci sono fioriture e speranze di conversioni come in America Latina, in Africa, in Asia nelle Filippine, in India.

Questo Anno ha aiutato a fare conoscere meglio la bellezza e il senso della scelta dei religiosi?

A livello di impressione generale non c’è stato un grande interessamento, non dimentichiamo che la nostra gente è bombardata quotidianamente da mille notizie eclatanti pensiamo agli atti terroristici. A livello locale o parrocchiale ci sono stati alcuni sacerdoti che hanno dato spazio ad un interessamento.
FRANCESCO ZULIANI 04 feb 2016 00:00