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Brescia
di L. ZANARDINI 09 apr 2015 00:00

Campi nomadi? La soluzione non è eliminarli

“La situazione dei campi Rom è in sofferenza, però sarebbe come se di fronte a un ammalato dicessimo che la soluzione migliore è ucciderlo". Don Osvaldo Resconi, parroco di Fiumicello e delegato diocesano per la pastorale dei migranti, commenta così le dichiarazioni di Salvini ("Raderei al suolo i campi Rom")

“Cosa farei io al posto di Alfano e Renzi? Con un preavviso di sfratto di sei mesi, raderei al suolo i campi Rom”. Così Matteo Salvini mercoledì 8 aprile a Mattino 5 nella giornata internazionale dedicata al popolo Rom, stabilita nel 1971 anche per non dimenticare il genocidio dei Rom nei lager nazifascisti. Non si è fatta attendere la risposta de Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti: “Sono posizioni estreme, assurde, come quelli - spiega il card. Antonio Maria Vegliò - che dicono ‘I musulmani? Li ammazzerei tutti’ o ‘I migranti? Vadano tutti a casa loro’. Sono frasi stupide e non varrebbe nemmeno la pena perdere tempo per commentarle”. E a Brescia cosa succede? “La situazione dei campi Rom – precisa don Osvaldo Resconi, delegato diocesano per la pastorale dei nomadi – è in sofferenza, però sarebbe come se di fronte a un ammalato dicessimo che la soluzione migliore è ucciderlo. Una volta constata la sofferenza, dobbiamo capire come affrontarla, come possiamo andare incontro a queste persone là dove c’è la sofferenza? Credo che l’espressione dell’on. Salvini sia infelice.

Don Osvaldo, può fare una fotografia della situazione bresciana?

Difficile fare una mappatura. Parliamo di qualche centinaia di persone. Ci sono dei campi fissati istituzionalmente dal Comune, penso a quello di via Orzinuovi, di via San Zeno o a Buffalora, poi ci sono innumerevoli campi: soprattutto i Sinti ma anche i Rom amano acquistare un pezzo di terreno sul quale stabilire la loro dimora, il loro piccolo clan. Bisogna anche considerare il continuo movimento di persone che arrivano, si fermano e ripartono alla ricerca di sistemazioni migliori. Attualmente Sinti e Rom non sono più da considerare nomadi: lo sono come origine, ma ormai sono stanziali, nel senso che risiedono in un posto e cercano una sistemazione definitiva.

Che cosa dovrebbe fare, secondo lei, il mondo politico?

La prima cosa, indispensabile, è che la politica incontri le persone dei campi Rom, non che conosca semplicemente il problema. Incontrarsi significa chiacchierare, confrontarsi e mettersi in ascolto. Molto spesso queste persone hanno bisogno di un orientamento nella scelta della loro vita. La nostra diocesi ha compiuto una decisione importante, quasi profetica: ha incaricato alcune persone per stare con questa gente, per cercare di capirla e per cercare di aiutarla. Sinti e Rom non hanno bisogno soltanto di una casa, di cibo o di vestiti, hanno bisogno anche di una compagnia, hanno bisogno di sentirsi persone tra le persone. È questo l’impegno sul quale la diocesi ha scommesso, è questo l’impegno che, penso, darà frutti.

E ai nomadi cosa suggerisce?

Ai Sinti e ai Rom chiedo di non guardare con sospetto e diffidenza i “gagi”, cioè noi. È vero che c’è qualcuno che non li sopporta, ma c’è anche tanta gente che li guarda con tanta compassione e con tanto affetto.
L. ZANARDINI 09 apr 2015 00:00