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Roma
di MARCO TESTI (AGENSIR) 18 ago 2015 00:00

Cellulare: abbattute le distanze ma quanto spreco…

Dal primo decennio degli Ottanta si poteva chiamare e trovare dovunque fidanzate, mogli, colleghi, amici del calcetto. Il mondo apparve all'improvviso più piccolo e più democratico. Fu la fine della sana solitudine, talvolta necessaria. L'inizio dell'era dell'essere reperibile a tutti i costi, l'essere trovato anche nel deserto

Sarebbe stato impossibile immaginarlo. Prima degli Ottanta, anche se Martin Cooper lo aveva già testato nell’aprile del 1973, il cellulare poteva avere cittadinanza solo nella fantascienza, e anche qui i soliti critici avrebbero avuto da ridire sulle esagerazioni della “moderna” fiction. L’impensabile divenne realtà. Dal primo decennio degli Ottanta si poteva chiamare e trovare dovunque fidanzate, mogli, colleghi, amici del calcetto. Rimediare dieci persone per farsi una partita la sera dopo l’ufficio da allora non sarà più l’impegno di una settimana, ma di pochi minuti.

Solo che allora l’ingombrante macchinetta costava la bellezza di 4000 dollari. “Scenderà con il tempo, state tranquilli” dissero gli ottimisti, che, per una volta, hanno avuto ragione. Un giorno si sarebbe potuto telefonare dal mare, da una montagna, ma non cercando una cabina telefonica per sirene o per yeti, semplicemente tirando fuori un rettangolo sintetico via via sempre più piccolo fino a stare nel taschino del costume da bagno. E ricordandosi di poggiarlo sotto l’ombrellone prima di tuffarsi.

E allora tutto bello, uno avrebbe detto allora. Il mondo è più piccolo, più democratico. Non esistono più le distanze. Evviva.
Neanche per sogno. O per lo meno, quel sogno talvolta diviene un incubo, come nella scena del pranzo di matrimonio in “Viaggi di nozze” di Verdone, in cui si sentono squillare continuamente le suonerie dei cellulari. E va bene, uno pensa, esagerazioni di chi voleva mettere alla gogna la maleducazione di una tipologia determinata di gente.

In fondo eravamo nel 1995, e sicuramente dopo essersi stancati del giocattolo, quei signori lo avrebbero sostituito con altri divertimenti. Nessuno, ma proprio nessuno, uno osava sperare, si sarebbe mai sognato di parlare da solo, anzi, urlare da solo gesticolando e attraversando la strada a semaforo rosso. Rischiando di essere investito da automobilisti altrettanto disattenti con una manina impegnata a reggere la scatoletta magica e magari con l’altra a fumare. Mai sarebbero capitate suonerie (qualcuno addirittura ha profetizzato squilli personalizzati e musiche ad hoc, tipo la cavalcata delle valchirie se a chiamare fosse la suocera. Che fantasia!) ad altissimo volume che lacerano il silenzio durante conferenze, celebrazioni, lezioni scolastiche, visite mediche.
Non era possibile, speravano gli ottimisti.

Certo che non era possibile. Perché la realtà è stata peggiore.
Sigle dei serial televisivi, ritenute segno di distinzione, sparate a mille decibel durante un’omelia, allo scoprimento della lapide di un eroe cittadino, nell’attesa della frase risolutrice a teatro, per cui uno si è svenato per portarci tutta la famiglia con la speranza di trasmettere alla figliolanza l’amore per le muse.

Gente che si rende conto benissimo di urlare e alza ancora di più la voce per stare - per una volta - al centro di un’attenzione che sfiora la tentazione di chiamare la polizia.
Spiagge stupende che un tempo erano animate solo dalle grida dei bambini o dalle amabili chiacchierate delle signore ora risuonano di lancinanti esclamazioni solitarie. E non sono conversazioni sulle sorti dell’umanità, sul destino dell’uomo, sul senso della vita. Neanche su un bel film visto recentemente, figuriamoci su un libro letto negli ultimi trentacinque anni.

Ma c’è di peggio: la fine della sana solitudine, talvolta necessaria. L’inizio dell’era dell’essere reperibile a tutti i costi (“che te lo sei comprato a fare se poi non rispondi?” è forse una delle frasi più inflazionate in questi ultimi anni), l’essere trovato anche nel deserto. Già immagino le repliche: sei il solito disfattista, pensa che bella la fine della solitudine.
Il problema è che non è così. Non è una frase per tutti che ci salva dalla vera solitudine, quella non desiderata. Si può essere ancora più soli, anche avendo il telefonino.

Serve e come, il rettangolo magico. Soprattutto per situazioni d’emergenza, sanitarie, per incidenti, per problemi improvvisi, non scherziamo. Ma serve anche un amico in carne e ossa, una persona amata, una parola vera, detta da un passo. Non annulla la necessità dell’altro. Come accade purtroppo quando trovi un gruppo di amici intenti ognuno a digitare messaggi o a fare ricerche, a chattare, come se ognuno fosse da solo. Talvolta la cura è peggio del male.
MARCO TESTI (AGENSIR) 18 ago 2015 00:00