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Brescia
di M.VENTURELLI 09 dic 2015 00:00

Cos’è la misericordia? Quell'amore gratuito...

L'intervista al vescovo Luciano Monari pubblicata sul magazine realizzato da "La Voce del popolo" in occasione del Giubileo

Nei primi giorni dello scorso mese di settembre, a commento della lettera con cui papa Francesco concedeva l’indulgenza plenaria in occasione dell’anno santo straordinario che si sarebbe aperto l’8 dicembre, il quotidiano Avvenire pubblicava un’intervista al vescovo Luciano Monari proprio sul tema della misericordia. “Virtù quanto mai derelitta – affermava mons. Monari – in una società come la nostra dove i legami sempre più allentati e l’individualismo crescente rendono di fatto impossibile l’abitudine alla misericordia. Oggi i legami fanno paura, ce ne teniamo alla larga. La misericordia invece presuppone il legame, a vari livelli. Ci preoccupiamo del fratello che ci sta accanto, usiamo nei suoi confronti gesti di misericordia, quando riusciamo a metterci nei suoi panni. Oggi nelle nostre comunità questa condivisione purtroppo è sempre più difficile. E lo vediamo, per esempio, con l’accoglienza degli immigrati”. Una deriva inevitabile, spiegava ancora il vescovo di Brescia dalle pagine di Avvenire, “perché, se è vero che la misericordia si impara in famiglia, il fatto di avere nuclei sempre più frammentati e sempre meno inseriti nel cuore della vita comunitaria, non può essere senza conseguenze. Da qui la grande, fantasiosa intuizione del Papa, che con il suo riferimento diretto ai malati, ai carcerati, alle donne che hanno abortito, a chi compie gesti di misericordia, declina in modo concreto e immediato il paradigma della misericordia, essenza della vita cristiana”.

Qualche giorno più tardi, a Piacenza, nel corso di un incontro presso il centro Caritas “Il Samaritano”, così il vescovo Monari si pronunciava su misericordia e compassione. “Compassione e misericordia – affermava – arrivano da un termine greco che significa viscere. La compassione e la misericordia si riconoscono dunque in quella parte di uomo che sono le viscere, fondamentalmente quelle materne, che davanti al proprio figlio si attorcigliano quando vedono una sofferenza o una necessità e quindi non riescono a rimanere indifferenti”. Nelle parole e nella considerazioni del Vescovo si trovava una conferma, seppure indiretta del fatto che il mondo conosca poco (e la pratichi ancora di meno) della parole misericordia, a dispetto del fatto che sin dall’inizio del suo pontificato papa Francesco non abbia perso occasione per parlare di misericordia. Questa dimensione, dunque, continua nei fatti essere poco più che una parola suggestiva scritta sulla carta. Parte proprio da questa constatazione, dalla necessità di comprendere cosa sia la misericordia l’intervista al vescovo Monari che apre questa pubblicazione dedicata all’Anno santo aperto dal Papa l’8 dicembre scorso.

Eccellenza, può aiutarci a capire cos’è la misericordia?
“La prima cosa da sottolineare è che la misericordia è un termine che si può applicare all’uomo e a Dio. Mentre è sufficientemente chiaro cosa si intende quando questo termine è abbinato all’uomo (sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla, ma anche, sentimento di pietà che muove a soccorrere, a perdonare, ndr), qualche parola in più va spesa per spiegare il suo rapporto con Dio.
In questo caso la misericordia deve essere intesa come quell’atteggiamento gratuito con cui Egli guarda con favore all’uomo e lo riempie della sua grazia, della sua vita. Questo avviene anche quando l’uomo si trova nella condizione di peccatore. Letta in questa prospettiva è chiaro che la misericordia diventa un amore gratuito e redentivo. Gratuito perché non presuppone alcun merito dell’uomo; redentivo perché si rivolge anche a chi si trova nel peccato per renderlo giusto”.

In questa prospettiva che è generale, universale, cosa può rappresentare per la Chiesa bresciana questo Anno santo voluto dal Papa?
“Per Brescia, ma più in generale per tutti, l’Anno santo che il Papa ha aperto l’8 dicembre può rappresentare l’occasione, l’opportunità di riprendere un serio cammino di rinnovamento della propria vita. Mi spiego meglio: una delle conseguenze negative dei propri errori e dei propri peccati è quella specie di rassegnazione che si genera ogni volta che l’uomo è portato a credere che davanti allo sbaglio, all’errore non ci sia più nulla da fare e accetta che le cose vadano avanti per forza d’inerzia. Questa rassegnazione toglie, evidentemente, lo stimolo alla conversione. La misericordia di Dio, proprio perché non suppone niente da parte dell’uomo, è gratuita e originale e mette in moto questo cammino di trasformazione di sé”.

Sembrerebbe trattarsi, in sostanza, di una nuova occasione di cambiamento che Dio concede all’uomo?
“Sì, in sostanza è esattamente questo. È come se Dio ci dicesse: c’è ancora una possibilità, c’è ancora un’opportunità, il tuo passato non ti blocca, i tuoi errori non ti sommergono, la possibilità di tornare a vivere e di rinnovarmi ti è donata per una seconda volta. Credo che sia questo uno degli elementi fondamentali dal punto di vista spirituale per avere l’energia, il desiderio… Se un uomo comprende questa possibilità allora ci si dedica con tutto il cuore, con tutto il desiderio possibile. Se invece non riesce a intravedere questa possibilità e cede alla rassegnazione, allora le cose che deve fare non le fa più”.

Eccellenza, ormai lei è in mezzo ai bresciani da tanti anni. Ha imparato a conoscerne pregi e difetti. C’è un aspetto della vita della nostra comunità che si augura possa diventare, anche grazie alla celebrazione dei questo Anno santo, un po’ più misericordioso, sulla scorta di quella definizione di misericordia da lei data in precedenza?
“In quel cammino di tensione ideale a un miglioramento che ogni comunità, ogni persona, bresciani compresi, ha nel proprio dna forse non si tratta di fare affidamento genericamente sulla misericordia. Quello che potrebbe aiutare, forse, sarebbe fare nostro, almeno un po’, lo stile di papa Francesco. Penso a quel suo tornare con insistenza sulla tenerezza. Anche nel corso del suo intervento al recente convegno di Firenze ha invitato la Chiesa italiana a fare propria quella tenerezza che è insita nel gesto di una mamma che accarezza i suoi figli. Penso anche al suo tornare con insistenza e in modo sistematico sul tema delle relazioni, dell’incontro personale. Si tratta di dimensioni di cui tutti abbiamo bisogno perché siamo fondamentalmente dei lavoratori accaniti, impegnati con competenza, aspetti che sono anche dei pregi, ma che comportano una minore disponibilità al rapporto interpersonale, una tendenza alla freddezza, una minore empatia, affetto più limitato e scarsa tenerezza, tutti aspetti di cui l’uomo ha bisogno per poter vivere”.

Proprio papa Francesco, che lei ha ricordato, sin dai primi giorni della sua elezione, ha fatto della misericordia un tema cardine del suo pontificato. Lei, Eccellenza, si è mai interrogato sulle ragioni che lo spingono a questa insistenza, sino ad arrivare addirittura all’indizione di un Anno santo della misericordia?
“Probabilmente papa Francesco ha compreso che l’uomo moderno ha un bisogno fondamentale della misericordia. Un bisogno che nasce come conseguenza diretta di quell’individualismo che caratterizza la società odierna, tutta portata all’insistenza sul soggetto, sulla sua responsabilità, sulla sua autocoscienza.
Un individualismo che rischia, però, di togliere la dimensione della relazionalità e della profondità anche affettiva della vita. Il tema della misericordia tanto caro a papa Francesco contribuisce a liberare un po’ da questo aspetto. Permette all’uomo di essere un po’ più sciolto, un po’ più libero, un po’ più attento agli altro, a godere di più dell’amore di Dio, di sentirsi amato e perdonato da lui e, conseguentemente, ad amare e perdonare un po’ di più gli altri uomini”.

Annunciando l’Anno santo papa Francesco ha parlato anche della figura dei missionari della misericordia. Ci può aiutare a capire cosa sono e quale la missione di queste figure?
“I missionari della misericordia sono essenzialmente dei segni di quella scelta di perdono illimitato che il Papa vuole offrire a tutti gli uomini. Si tratta, dunque, di persone che lui manda dove, evidentemente, vengono richieste per annunciare questa misericordia di Dio per tutti in questo anno di grazia che è il Giubileo e con tutti i poteri che sono del papa stesso. Il Papa, evidentemente, ha il potere di un perdono che non ha limiti, che non ha misure. I vescovi, invece, alcune cose non le possono perdonare e hanno alcuni limiti. Ai missionari della misericordia, invece, in tema di perdono il papa trasmette i suoi stessi poteri. Per questo la loro istituzione dipende direttamente dal Papa”.

Questo significa, quindi, che ogni diocesi dovrà necessariamente rivolgersi al Papa per l’istituzione di queste figure a livello di Chiesa locale?
“No, ogni singola diocesi può pensare a dei propri missionari della misericordia. È chiaro però che l’istituzione dei missionari, così come l’ha pensata papa Francesco, dipende unicamente da lui.
Come diocesi di Brescia, abbiamo già provveduto all’istituzione di un missionario della misericordia”.

Una scelta, quella che mons. Monari ricorda, che si colloca nella prospettiva indicata dallo stesso vescovo nella recente lettera pastorale “Ricchi di misericordia” in cui si legge, proprio sul tema che segna questo Anno Santo: “Il sacramento della confessione è lo strumento concreto con il quale Dio, attraverso la persona del confessore e quindi attraverso la Chiesa, ci accoglie con cuore paterno e ci dona un perdono pieno e senza condizioni di tutte le nostre colpe. I sacramenti sono segni sensibili che, vissuti con fede in obbedienza alla volontà di Dio, generano nel cuore dell’uomo la grazia di Dio e quindi santificano l’uomo. Generalmente i sacramenti sono celebrati con materiali concreti: l’acqua (il battesimo), l’olio profumato (la cresima), il pane e il vino (l’eucaristia)… Il sacramento della penitenza si compie attraverso l’incontro personale tra il confessore e il penitente; è questo incontro stesso che diventa luogo di azione della grazia di Dio. Il racconto delle proprie colpe che il penitente deve fare non ha come scopo quello di umiliare il penitente costringendolo a dire cose che danno un poco di vergogna, di punirlo per quanto ha fatto. Lo scopo è un altro: è quello di liberare davvero il cuore della persona. Per questo bisogna accettare lealmente il ‘gioco’ della confessione con le sue regole. Se baro al gioco, se minimizzo i miei errori, se nascondo quello che mi dà vergogna, ottengo solo l’effetto di impedire il perdono di Dio; mi sottraggo all’azione purificatrice del dialogo con Dio attraverso un fratello. Purtroppo molte delle nostre confessioni sono poco efficaci per questo; perché il racconto delle nostre colpe è banale, ripetitivo, non profondo; e quindi lo spazio interiore che noi offriamo all’azione di Dio è limitato. L’anno giubilare che ci apprestiamo a celebrare è un’occasione che non dobbiamo perdere. È vero che il perdono di Dio è donato sempre di nuovo; ma non è vero che noi saremo sempre pronti a riceverlo.

I nostri peccati creano, poco alla volta, delle concrezioni dure, difficili da sgretolare; le confessioni banali creano, poco alla volta, un’abitudine alla superficialità che può rendere più difficile la consapevolezza del proprio peccato. Come in tutte le cose, anche nella confessione bisogna mettersi in gioco. Bisogna che ci sia in noi un desiderio vero di cambiamento; che siamo consapevoli di quali sono i punti deboli del nostro edificio spirituale. Questo è il motivo per cui il rito di Paolo VI chiede con insistenza che la celebrazione del sacramento della penitenza vada insieme con la proclamazione e l’ascolto della parola di Dio. La parola di Dio, dice la lettera agli Ebrei ‘è viva ed efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla’. (Eb 4,12)

Sono infinite le astuzie che sappiamo inventare per non doverci riconoscere colpevoli o per non doverci riconoscere colpevoli di quel comportamento particolare. La parola di Dio è capace di distruggere le nostre difese; a condizione, s’intende, che ci mettiamo in ascolto con sincerità. ‘Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio [alla sua parola], ma tutto è nudo e scoperto davanti a Lui’. (Eb 4,13)

Lo sguardo di Dio fa paura perché spazza via tutte le nostre giustificazioni e ci mette davvero davanti a noi stessi; ma lo sguardo di Dio è nello stesso tempo terapeutico, perché non condanna senza appello, ma purifica. Se abbiamo il coraggio di stare davanti a Dio – di ‘litigare’ con Lui, dice il profeta Isaia – allora i nostri peccati, fossero anche di un rosso scarlatto, diventeranno bianchi come neve, candidi come lana (Is 1,18).

Una comunità cristiana deve avere nel suo progetto pastorale l’impegno di valorizzare la disciplina penitenziale della Chiesa in tutte le sue espressioni. Quanto ho detto, è solo un piccolo accenno. Bisognerebbe parlare più approfonditamente del senso del peccato; del tempo penitenziale per eccellenza che è la Quaresima; delle celebrazioni della Parola penitenziali… ma perlomeno l’argomento è stato accennato. Una delle povertà della nostra società è proprio quella di non avere sorgenti di perdono. L’effetto è che nessuno riesce a confessare sinceramente il proprio peccato e che la tendenza diffusa è quella di attribuire solo agli altri tutta la colpa di ciò che non va bene. La disciplina penitenziale della Chiesa, in tutte le sue diverse forme, è una ricchezza che possiamo offrire al mondo perché il mondo viva”.

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M.VENTURELLI 09 dic 2015 00:00