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Brescia
di ROMANO GUATTA CALDINI 10 giu 2016 00:00

Don Davide Podestà. Una comunità basata su Dio

Don Davide Podestà è nato a Manerbio il 7 giugno 1990. Ha svolto il servizio pastorale per due anni a Nuvolera con don Lucio Salvi e don Ruggero Chesini, poi è stato prefetto in Seminario minore con don Michael Tomasoni, quindi due anni a Roè Volciano con don Gian Pietro Forbice. Quest’anno ha svolto il diaconato a Roncadelle

Quanto è importante l’amicizia nella vita di un uomo? Oggi che in molti ambiti della società l’individualismo sembra prevalere, quanto conta la testimonianza di una coesione all’interno della Chiesa? Fosse solo a livello diocesano… Una risposta a queste domande l’abbiamo trovata nell’esperienza di Davide Podestà. L’incontro con l’oratorio in terza media, con la dimensione comunitaria, è stato fondamentale nel suo percorso: “Non avevo notato dei cambiamenti particolari in lui – ha sottolineato mons. Tino Clementi, parroco di Manerbio – , finché un giorno, dopo aver conseguito la maturità scientifica, mi ha chiamato dicendomi: ‘Posso venire con un amico?’. Lì mi ha comunicato la sua intenzione di entrare in seminario. È una bella intelligenza, la sua, ricordo che è sempre stato molto attento alle proposte dell’oratorio: dal dialogo con i giovani alle varie attività”. Da allora la vocazione ha portato don Davide lontano, facendolo crescere, maturare, fino a quest’anno, quando si è trovato a svolgere il servizio da diacono nella parrocchia di Roncadelle con mons. Aldo Delaidelli, don Massimo Pucci e don Mauro Cinquetti. Questa esperienza ha rinsaldato in lui la certezza che la prima testimonianza che si possa dare ai fedeli dell’amore nel Signore sia “una comunità basata su di Lui”. Una comunità come quella di Roncadelle, delineata dallo stesso Davide fin dal momento del suo ingresso, come si evince dal saluto pronunciato per l’occasione: “Avevo la paura di rimanere un po’ solo con tante responsabilità nella parrocchia in cui sarei stato mandato, visto che la maggior parte dei miei compagni, ordinati con me il 19 settembre, non hanno curati e alcuni gestiscono più di un oratorio. Questo a me non è successo. Ne ringrazio davvero il Signore. Sono stato mandato a Roncadelle con mons. Aldo, don Massimo e don Mauro. Questi ultimi due li conosco sin dal tempo del seminario dove è sorta una bella amicizia. Penso che nascerà una bella e fruttuosa collaborazione tra noi. Don Mauro è stato il mio prefetto, il primo anno quando sono entrato in seminario. Quindi, visto che abbiamo festeggiato da poco gli angeli custodi e gli Arcangeli, posso dire che lui è stato il mio angelo custode: mi ha indicato la strada da seguire e mi richiamava quando facevo un po’ troppo ‘caos’. Con don Massimo siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Il suo primo messaggio, quando ha scoperto che sarei venuto a Roncadelle, è stato: ‘Non so cosa faremo di preciso, però come coppia a ping-pong saremo imbattibili’. Questo per sottolineare ciò che ha ricordato anche don Aldo nell’omelia. La fraternità sacerdotale/sacramentale dovrà distinguere la nostra azione e la vita comune potrà diventare una bellissima testimonianza”.

Nella tua scelta vocazionale quanto ha contato l’ambiente in cui sei cresciuto?
Sono cresciuto nella fede grazie alla mia famiglia. Decisivo più di tutto è stato l’oratorio, vivere l’oratorio negli anni delle superiori dopo averlo scoperto con il Grest. Vivere in oratorio è stato come incontrare Gesù attraverso gli amici, le relazioni che si sono approfondite, con il Don che ci seguiva, gli animatori, i campi scuola, gli itinerari di spiritualità per giovani. Sono stati tutti momenti che mi hanno fatto incontrare Gesù concretamente nella mia vita e nel quotidiano. Da qui è sorta la domanda: cosa vorrà il Signore dalla mia vita? Perché non sono così felice nonostante faccia tutte queste cose? È cercando di rispondere a queste domande che mi sono chiesto se il Signore volesse qualche cosa di più da me, forse mi chiedeva di donare tutta la vita per servire Lui e tutta la Chiesa. Nella mia scelta è stato essenziale anche il rapporto con i miei amici perché abbiamo costruito negli anni delle relazioni vere, nella Verità, non superficiali, che andavano in profondità. È quello che chiede Gesù ai suoi discepoli: essere suoi amici. Posso dire di aver incontrato Gesù attraverso le amicizie costruite in questi anni. Ci sono tante figure con le quali ho costruito rapporti molto belli e che tutt’ora sono per me persone molto importanti, persone che ringrazio il Signore di avermi fatto incontrate perché mi hanno fatto crescere prima come uomo e poi, un domani, come prete migliore, secondo il volere di Dio.

Ci sono amicizie che hanno influito particolarmente?
Soprattutto gli amici con cui sono cresciuto a Manerbio, ma anche in Seminario si sono create delle belle relazioni, ma su un piano differente rispetto alle amicizie dell’infanzia che si protraggono nel tempo. Certo, crescendo il rapporto cambia, non ci si vede più con la stessa frequenza di prima, ma forse anche questa distanza ti aiuta a vedere le cose essenziali, elevandole a un livello superiore. In tal modo le amicizie si approfondiscono notevolmente e si gusta davvero la bellezza di avere degli amici. Le persone incontrate in seminario, più che amici li chiamerei fratelli, perché si condivide tutta la vita: dallo stare insieme a tavola ai momenti di svago come una partita a calcio e, ovviamente, i momenti di preghiera. Si cresce insieme nella conoscenza di noi stessi e nella volontà del Signore. Come Gesù che ha chiamato i discepoli perché stessero con Lui, questo stare con Lui è uno stare con Lui insieme ad altre persone: non si sta da soli con il Signore, è importante avere dei fratelli che ti accompagnino nel cammino.

Per quanto riguarda il servizio svolto da diacono quest’anno a Roncadelle?
È stata un’esperienza di comunione, in primis con i sacerdoti che lì svolgono servizio, con don Aldo, don Massimo e don Mauro. È stato un po’ un prolungamento, un’esperienza di continuità di ciò che viviamo in seminario: dalla colazione consumata insieme la mattina alla preghiera. Questa dimensione comunitaria è la prima testimonianza che si può fornire ai fedeli. Vedono che fra i sacerdoti c’è concordia, vedono che stiamo bene insieme, forniamo la testimonianza di come possa essere bello vivere così. In tal senso mi ha colpito la domanda della madre di un ragazzo. Mi chiedeva se fossi rimasto anche per l’anno venturo. Ho risposto che era improbabile.
Allora lei ha detto: “È un peccato perché siete proprio belli”. Questo per me significa che insieme, tutti e quattro, riusciamo – pur nella difficoltà e con i nostri limiti – a esprimere l’amore del Signore che vuole costruire una comunità basata su di Lui.
ROMANO GUATTA CALDINI 10 giu 2016 00:00