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Calabria
di FABIO MANDATO (AGENSIR) 05 gen 2015 00:00

"Fuori dalla comunione con la Chiesa chi fa parte della mafia"

Il documento "Testimoniare la verità del Vangelo. Nota pastorale sulla 'ndrangheta". Il presidente della Cec, Salvatore Nunnari: "Il mafioso, se non dimostra autentico pentimento, né volontà di uscire da una situazione di peccato, non può essere assolto sacramentalmente, tantomeno può rivestire uffici e compiti all’interno della comunità ecclesiale". Presto un Direttorio su sacramenti e pietà popolare

“Nei confronti di chi, notoriamente e ostinatamente, nel corso della vita terrena abbia preso parte in prima persona, come mandante, come esecutore e collaboratore consapevole, ad organizzazioni criminali, come la ‘ndrangheta, la Conferenza Episcopale Calabra, pubblicamente e solennemente ribadisce che di fatto è fuori dalla comunione con la Chiesa”. Sono forti le parole contenute nel documento “Testimoniare la verità del Vangelo. Nota pastorale sulla ‘ndrangheta”, pubblicato e presentato questa mattina dalla Conferenza episcopale calabra (Cec). Un rinnovato impegno della Chiesa calabrese contro i fenomeni criminali, nel solco di un cammino quarantennale, e che ha visto i vescovi locali sempre in prima linea. Una riflessione scaturita da alcuni “accadimenti” registrati “nel corso di questo anno” - come chiosano gli stessi presuli calabresi.

Un popolo “ferito nella sua dignità” da un “fenomeno deleterio” che provoca “frequenti ingiustizie e atteggiamenti estorsivi”, “dentro i quali la mancanza di lavoro si salda con la piaga del lavoro nero; il ricatto e l’usura si sposano con la promessa di guadagni facili attraverso la chimera del gioco d’azzardo”. Questo il quadro descritto dai vescovi calabresi nella nota pastorale, nella cui introduzione monsignor Salvatore Nunnari, presidente della Cec, afferma di “scrivere non ‘contro’ qualcuno, ma ‘per’ annunciare la Verità eterna del Vangelo di Gesù Cristo”. In una regione che “si trova dentro un vuoto di certezze, di presenza, di fiducia, di impegno, il documento condanna fortemente il fenomeno mafioso, cita “la disoccupazione, la corruzione diffusa, una politica, che tante volte sembra completamente distante dai veri bisogni della gente”. Per questo i vescovi calabresi auspicano che “le nostre indicazioni possano contribuire a far sorgere una alba nuova di redenzione nella nostra terra”.

Devozioni e pratiche di culto. La ‘ndrangheta è “una realtà criminale che ha raggiunto ormai una dimensione ‘globalizzata’”, e si pone come “antistato e anti - religione”. Nel documento, di quattro capitoli, costantemente i vescovi calabresi sottolineano che la Chiesa e i fenomeni criminali “sono due realtà incommensurabilmente tra loro lontane”, di cui affermano “l’abissale differenza”. Se la Chiesa, infatti, è “fondata sull’amore di Dio e del prossimo”, la ‘ndrangheta è “costruita sulla minaccia e sulla paura, su una falsa fede e una distorta religiosità”. Eppure i vescovi non possono che constatare “lo stravolgimento subito dalle devozioni e dalle pratiche di culto della Chiesa” che “ha portato, a volte, alcune belle forme di pietà popolare a diventare autentiche manifestazioni di idolatria, mascherata di religiosità”.

Per contrastare i fenomeni ‘ndranghetisti “servono la fede nel Signore Risorto e la coerenza delle azioni, che supportino interventi programmati, specialmente quelli relativi alle diverse espressioni della pietà e della religiosità popolare, della formazione remota, prossima e permanente dei presbiteri, dei laici e dei catechisti, nell’esperienza dei movimenti e delle aggregazioni ecclesiali”. Già nei mesi scorsi la Cec aveva ribadito la necessità di formare adeguatamente i seminaristi con vere e proprie “lezioni anti ‘ndrangheta”. Per una pastorale rinnovata, insomma. Nell’ultima parte del documento i vescovi tracciano il percorso futuro della Chiesa locale. Decidendo di affidare “a un prossimo Direttorio gli aspetti della Celebrazione dei Sacramenti e della Pietà popolare, principi e linee guide, a cui ispirarsi e attenersi nelle nostre Diocesi di Calabria”.

La nota pastorale richiama le parole pronunciate da Papa Francesco nel corso della visita pastorale in Calabria dello scorso 21 giugno. Allora il pontefice disse che “i mafiosi sono scomunicati”. Una espressione su cui i presuli di Calabria hanno riflettuto e che, nell’introduzione al documento, fa affermare a mons. Nunnari che “chi fa parte della mafia - anche se non ha ricevuto una scomunica scritta - si pone automaticamente fuori dalla comunione ecclesiale”. Per questo, “il mafioso, se non dimostra autentico pentimento, né volontà di uscire da una situazione di peccato, non può essere assolto sacramentalmente, tantomeno può rivestire uffici e compiti all’interno della comunità ecclesiale”.

La nota odierna si inserisce in un percorso della Chiesa calabrese che dura da diversi decenni, e che gli stessi presuli oggi hanno richiamato. Era il 1975, quando i vescovi locali pubblicarono il documento “L’Episcopato calabro contro la mafia, disonorante piaga della società”: già allora parlavano della mafia come un “doloroso e triste fenomeno, disonorante piaga della società, segno di arretratezza socio-economica e culturale”. Nel corso degli anni sono stati diversi gli interventi dei vescovi, ultimo nel 2010, nel documento “Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo”, in cui scrivevano che “contro un potere mafioso che permea di sé sia i singoli sia le istituzioni, deve nascere e diffondersi un senso critico capace di discernere i valori e le autentiche esigenze evangeliche”.
FABIO MANDATO (AGENSIR) 05 gen 2015 00:00