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Brescia
di + PIERANTONIO TREMOLADA 02 gen 2020 08:17

Pace: frutto della redenzione in Cristo

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Il testo integrale dell'omelia pronunciata ieri dal vescovo Tremolada nella celebrazione eucaristica nella chiesa della Pace a Brescia

In occasione della giornata mondiale della Pace, istituita da San Paolo VI nel 1968, il vescovo Pierantonio Tremolada ha presieduto ieri una santa Messa nella chiesa della Pace a Brescia. Questo il testo integrale dell'omelia pronunciata.

“Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”: il canto degli angeli nella notte del Natale risuona in questi giorni e richiama il mistero adorabile della visita di Dio all’umanità in cammino nella storia.  È un canto che ci consegna una verità sempre sorprendente: la gloria che è nell’alto dei cieli e che è contemplata dagli angeli di Dio, ha un suo meraviglioso riflesso nella pace che Dio desidera far fiorire sulla terra, a favore dell’umanità che egli ama. Pace tanto cara ai cuori umani e tanto desiderata, eppure così faticosa da realizzare, così delicata, così fragile, così precaria. In questo primo giorno dell’anno nuovo, ormai tradizionalmente divenuto per la Chiesa universale Giornata della Pace, in questa Chiesa e in questo luogo che a Brescia naturalmente evocano la pace, siamo invitati a fermare su di essa per qualche istante il nostro pensiero e soprattutto a invocarla come dono prezioso che viene dall’alto.

La pace cantata dagli angeli la notte del Natale del Signore e donata da lui negli incontri con i discepoli dopo la sua morte e nella potenza della sua resurrezione, ha un che di misterioso. Se è riflesso della gloria dei cieli, rimanda al mistero di Dio. È una pace che l’uomo non si può dare, ma che piuttosto riceve come frutto della redenzione in Cristo. La rivelazione dell’amore trinitario costituisce l’effettiva sorgente di questa pace tanto desiderata. È la pace che Gesù stesso promette ai suoi. È la pace che la liturgia ci fa invocare prima di accostarci alla comunione sacramentale e dopo aver insieme proclamato le parole della Padre nostro: “Liberaci o Signore da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni e con l’aiuto della tua misericordia saremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento”. E ancora: “Signore Gesù Cristo che hai detto ai tuoi apostoli vi lascio la pace, vi do la mia pace, non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa e donale unità e pace secondo la tua volontà”.

Questa pace genera i sentimenti capaci di affrontare la sfida di una realtà complessa, di un vissuto sociale che spesso mette alla prova. È una pace dai vari volti e dai molteplici risvolti. È pace nel senso di amabilità e benevolenza, di sincera apertura verso tutti, di naturale disposizione ad ascoltare, a comprendere, a sostenere e confortare; ma è anche fermezza di fronte alle prove della vita, è serena perseveranza in grado di contrastare la tentazione dello scoramento, dell’amarezza rassegnata, della parola lamentosa e pungente, del lasciarsi cadere le braccia; è infine miracolosa capacità di perdono, rifiuto di ogni forma di violenza anche qualora ci si trovasse a subirla, è testimonianza profetica del rinnovamento compiuto dalla Pasqua del Signore, dal suo sacrificio d’amore.

Questa pace che viene dall’alto suppone la conversione del cuore: è infatti frutto di una dura lotta contro se stessi, è opposizione tenace ad ogni movimento distruttivo suscitato nell’animo dall’orgoglio e dall’avidità, le due le passioni madri – così le chiamano i maestri dello spirito – che mirano a fare dell’uomo uno schiavo, a togliergli il governo di se stesso, la sua autodeterminazione per il bene, inducendolo a guardare il prossimo come una minaccia o come un a preda, consegnandolo in balia della gelosia, dell’odio e della ricerca morbosa del proprio appagamento. In questo modo il cuore dell’uomo perde la pace.

Alla base dei conflitti sanguinosi che sempre hanno devastato la vita dei popoli e ancora oggi procurano dolori indicibili a tanti uomini e donne c’è sempre la brama insaziabile e capricciosa del cuore umano ferito, il desiderio accecante della ricchezza e del potere, la voglia di mostrarsi grandi e la paura di non apparire tali agli occhi degli altri, l’ebbrezza di sentirsi padroni delle cose e anche degli uomini, l’obbligo di esserlo per non rischiare di diventare schiavi di chi, dall’altra parte della barrica, la pensi – ne siamo convinti – allo stesso modo. Una sorta di reciproca condanna all’ansia e alla paura, che può giungere addirittura a togliere il respiro e comunque impedisce all’animo si sentirsi in pace. La famiglia umana diventa così la controfigura di se stessa: si trasforma in una moltitudine di gente che fatica a riconoscersi, un insieme di entità tendenzialmente estranee e in reciproca concorrenza, ciascuna preoccupata di difendere il proprio diritto e di ricercare il proprio interesse. Allora prendono piede l’ingiustizia e la prepotenza: chi ha tende a possedere sempre di più e chi si sente forte vuole esserlo sempre di più; mentre chi ha poco si trova a possedere sempre di meno e chi è debole rischia facilmente di soccombere.

Non si cambia il mondo se non si cambiano i cuori. Lo diceva molto bene san Paolo VI nell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi, quando, parlando dell’evangelizzazione, così si esprimeva: “Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell'umanità, è, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità stessa: «Ecco io faccio nuove tutte le cose». Ma non c'è nuova umanità, se prima non ci sono uomini nuovi, della novità del battesimo e della vita secondo il Vangelo. Lo scopo dell'evangelizzazione è appunto questo cambiamento interiore e, se occorre tradurlo in una parola, più giusto sarebbe dire che la Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l'attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l'ambiente concreto loro propri”.

L’essenza della redenzione è il cambiamento del cuore. Nelle parole dei grandi profeti dell’Antico Testamento troviamo questo annuncio che è in verità una promessa. Così dice per esempio il profeta Ezechiela, dando voce al Signore Dio dell’Alleanza: “Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme” (cfr. Ez 36,25-27)

L’unica vera rivoluzione di cui l’umanità ha bisogno è quella spirituale. Ogni epoca, per non cadere nel baratro della violenza cieca, deve puntare sul primato della grazia e sulla centralità della coscienza. Solo così regnerà la pace. Essa si irradierà dal segreto dei cuori, si sprigionerà anzitutto nella forma di sentimenti sinceri, di intenzioni limpide, di desideri nobili, di ideali coraggiosi, cui seguiranno progetti lungimiranti e azioni efficaci. Dove giunge la luce amabile del Dio con noi, dove ci si apre all’energia straordinaria dello Spirito di Dio, che rigenera e purifica, dove la coscienza si mantiene in dialogo con colui che è fonte della vera sapienza, si avvia un misterioso processo spirituale, il cui frutto più prezioso è appunto la pace: pace interiore che poi diviene pace sociale, pace del cuore che dà vigore alle braccia e prima ancora creatività alla mente, in vista di una convivenza umana realmente civile.

Sappiamo bene che la vera pace non è di questo mondo. La vedremo nella sua forma perfetta quando “Dio sarà tutto in tutti”; e ne saremo affascinati. Allora capiremo che cosa il nostro Creatore aveva da sempre pensato per noi. Ora si deve lottare per difenderla e per promuoverla, si deve lottare con fiducia, con coraggio, con perseveranza; senza paura e senza rabbia; sapendo che già in questa lotta spirituale per la pace si fa esperienza della pace. Chi infatti difende la pace e la promuove già ne gusta il buon sapore e ne viene consolato: “Beati gli operatori pace – ci ha promesso il Signore Gesù – perché saranno chiamati figli di Dio”.

Nella festa della Divina maternità di Maria a lei affidiamo questo desiderio di pace così vivo e ancora così drammaticamente lontano dall’essere esaudito. A lei chiediamo il dono di un’autentica conversione dei cuori. A lei affidiamo gli sforzi sinceri di tanti uomini e donne di buona volontà, che anche oggi fanno della pace lo scopo del loro generoso impegno. Voglia Dio che tra questi ci siamo anche noi".

                                                                                                                                                

+ PIERANTONIO TREMOLADA 02 gen 2020 08:17