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Palestrina
di L. ZANARDINI 09 giu 2016 00:00

Sigalini ai preti: Mettersi all'ascolto dei laici dentro la loro vita non nei nostri uffici

Il bresciano mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina, rilegge i suoi 50 anni di sacerdozio e offre alcuni spunti interessanti sui presbiteri e laici

Ogni stagione ha le sue difficoltà. Non c’è un tempo più o meno facile. Lo sanno bene i nove nuovi sacerdoti diocesani che in questi anni si sono allenati e formati sul campo e non sono certo vissuti in una teca di vetro. Detto questo, ci è parso opportuno intervistare un sacerdote bresciano, mons. Domenico Sigalini, che proprio quest’anno ha festeggiato il suo Giubileo sacerdotale e che nel suo lungo ministero ha trascorso molti anni a contatto con i giovani e con il mondo laicale. Durante il Pontificato di Giovanni Paolo II si è dedicato, in particolare, alla pastorale giovanile: ha incontrato e si è confrontato con loro e da loro ha appreso molto.

Mons. Domenico, a 50 anni dalla sua ordinazione sacerdotale, qual è l’aspetto del ministero che l’ha sorpresa di più in positivo e quello che invece l’ha un po’ delusa?

Il grande bene che si può fare e che ti aiutano tutti a fare. Senti di essere utile a dare speranza a qualcuno, a chi ti vede come messaggero di Gesù. Oggi ancora di più la gente ci cerca e basta mettersi all’ascolto, dentro la loro vita non nei nostri uffici. La conoscenza del grande male che c’è nel mondo, della efferata cattiveria. Venendo da Dello, un paese allora molto semplice, non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte a un male così grande. Ero forse ingenuo, ma le nostre vite di ragazzi e di giovani erano molto protette nei nostri paesi. Il mondo poi si è imbarbarito alla grande. Ma c’è sempre da sperare in nostro Signore.

Cosa ha imparato dai laici?

Ad amare gratuitamente la Chiesa, a tenere i piedi per terra e lo sguardo al cielo; a pensare che occorre collaborare sempre per la ricerca della verità; a non cedere mai allo sconforto; la concretezza della vita e la bellezza di donarla, come fa ogni papà e mamma; il fatto che oltre al battesimo sono due i sacramenti che fanno una comunità cristiana: l’ordine e il matrimonio. La famiglia non è un target da controllare, ma un soggetto da impegnare e da cui imparare.

Perché i presbiteri faticano ancora a coinvolgerli pienamente?

Perché facciamo fatica a mollare il pallino, pensiamo di essere solo noi che salva la chiesa e il cristianesimo. E soprattutto perché li prendiamo e molliamo quando ci servono. Sono corresponsabili e non solo collaboratori.

Come si annuncia Cristo oggi?

Con l’esempio coerente come fa papa Francesco e con fede chiara e coraggiosa. Faccia tosta, libertà massima per tutti perché non abbiamo nessuno in tasca la verità, convinzione e innamorati persi di Lui.

Cosa intendiamo quando parliamo di Chiesa in uscita?

Che non siamo noi il centro del mondo e che ogni persona ha qualcosa da donarti, anche le sue fragilità che ti aiutano a mettere la testa a posto. Vuol dire uscire dall’episcopio o dalla canonica per incontrare. Una mattina con alcuni preti e laici dalle 6.30 fino alle 8 con la mia tuta da vescovo sono andato alla stazione di Zagarolo a salutare tutti i pendolari che partivano per andare a Roma a lavorare: imbarazzante, ma bello!

Lei in questi anni ha seguito da vicino i giovani... Cosa cercano maggiormente?

Cercano di non essere ingannati, di essere sempre ascoltati e stimati e spesso anche una spalla su cui piangere senza vergognarsi. Per questo basta un prete anche un po’ schizzato. Chiarezza di proposta, nessuna pretesa di aver ragione e dialogo paziente, disposti a sembrare perdenti.

Perché secondo lei le nostre comunità interpretano parzialmente e a seconda degli interessi il Vangelo? Cosa è stato sbagliato?

Il vangelo va accostato con fede e nient’altro, sapendo che è più grande di noi e che è lo stesso Gesù, non soprattutto una norma morale. In ogni parabola ci stiamo tutti: preti, laici, delinquenti e fragili, giusti e ingiusti.

Quanto è importante la misericordia nella vita del prete? Quanto l’accompagnamento spirituale? C’è un autore la cui lettura può essere di aiuto?

È importante una misericordia responsabile, che è fedele al vangelo e non all’indice di gradimento. Accompagnare a crescere è raro come l’oro, ma è prezioso come l’oro. A me è sempre piaciuto don Milani e mi ha aiutato tanto e così gli scritti di don Primo Mazzolari.

Quali sono le difficoltà principali per un giovane prete in un mondo secolarizzato come il nostro?

Di ritenersi un giovane che fa il prete e non un prete giovane. Deve cioè investire sulla sua giovinezza, non usarla come indice di gradimento, ma come volto della chiesa che esce incontro a tutti.
L. ZANARDINI 09 giu 2016 00:00