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Ecuador
di +LORENZO VOLTOLINI 09 mag 2016 00:00

Una catastrofe dimenticata

L'arcivescovo bresciano di Portoviejo, mons. Lorenzo Voltolini, in questa lunga lettera descrive la situazione dell'Ecuador post terremoto e fa appello alla nostra generosità

Rompendo un lungo silenzio, dovuto all’isolamento nel quale é rimasto Portoviejo e tutto Manabí dopo il terremoto del 16 aprile, vengo a raccontarvi qualcosa di quello che è accaduto per non perdere i contatti e per mantenere viva la speranza in noi e la carità in voi. Due minuti allo scoccare le sette di un sabato sera c’è stato un violento terremoto che ha avuto come epicentro un punto dell’Oceano Pacifico di fronte a Pedernales, una popolazione che dista poco più di cinque chilometri dall’Equatore.

La forza del terremoto é stata di 7.8 gradi della scala Richter. La immensa forza sismica ha distrutto case, alberghi, chiese, case parrocchiali, scuole, università, edifici pubblici, sociali e commerciali. Tutto nel giro di 50 lunghi secondi. E poi un silenzio di morte. Io mi trovavo nella cappella di un rione periferico della città di Portoviejo. Avevo appena finito di celebrare la Messa. Stavo in sacristia, la forza del movimento è stata tanto grande che, per non cadere, ho dovuto aggrapparmi agli stipiti della porta. Avevo l’impressione di stare in piedi su una di quelle giostre che hanno movimenti a volte sussultori, a volte rotatori.

I fedeli che ancora stavano in chiesa sono caduti per terra, la statua della Vergine di Guadalupe è rovinata al suolo, ma non ha colpiti nessuno, l’energia elettrica è cessata ancora alla prima scossa di terremoto. Visto che non sembrava ci fossero problemi tra i presenti in chiesa, sono corso alla macchina e sono tornato in casa episcopale. Passando per le vie della città ho visto i primi gravissimi disastri: case cadute, palazzi e costruzioni alte inclinate, le strade piene di detriti, mattoni, pali della luce, grovigli di fili della luce e della telefonia fissa. Dalle case sventrate pendevano sedie, tavoli, letti, materassi, elettrodomestici e quant’altro. La macchina esra guidata da Carlos, perciò sono riuscito a mandare al gruppo di WhatsApp dei fratelli vescovi: Pochi minuti fa c’è stato un forte terremoto in Portoviejo. Molte case rovinate e cadute. É un vero caos. Pregate per noi”.

Una volta in casa ho fatto una prima ispezione al mio appartamento. Non sono potuto entrare nello studio, perché gli scaffali erano rovesciati, libri ed oggetti vari di studio sparsi per tutta l’abitazione. Passando dalla terrazza, sono entrato alla camera da letto e l’ho trovata tutta scomposta. Sono poi entrato in Cattedrale ed ho visto i primi sintomi di gravità della situazione: il tabernacolo caduto, ma già senza il Santissimo, recuperato prontamente dal Párroco; calcinacci vari frutto dello scrostamento dell’intonaco della volta, pareti rovinate con fessure gravi e molto materiale sulla porta dentro e fuori della Cattedrale.

Sono quindi uscito per le strade, in compagnia del Vescovo Ausiliare ed il Parroco della Cattedrale, per incontrare e consolare la gente. Sul marciapiede della piazzoletta antistante la Cattedral abbiamo incontrato un morto vigilato da una familiare. Ci siamo avvicinati, abbiamo detto una preghiera mentre una persona si avvicinava per dirci: “Questo signore era molto fedele alla cattedrale, apparteneva alla “Legio Mariae” é morto come avrebbe voluto, nella casa del Signore”. Nel frattempo arrivavano altre persone che si incaricavano di portare il morto alla sua casa, allora abbiamo deciso di continuare la visita a tutta la città.

La gente, spaventata ed ancora attonita, incredula di quello che era successo, stava in mezzo alle vie. Alcuni avevano già portato in strada sedie, materassini, cuscini e quanto necessario per poter passare la notte fuori casa, in zona di sicurezza. (Qui la notte inizia alle 18:30 e l’alba, di pochi minuti di durata, inizia puntualmente alle 6:00 tutto l’anno).
Passando in mezzo alle strade popolate solo di uomini vaganti, visibilmente tristi ed impauriti, o sotto qualche portico, per schivare le macerie accumulate, abbiamo percorso la zona “zero” in lungo e in largo. Arrivati alla chiesa della Mercede, abbiamo visto un camioncino portarsi via il cadavere di una ragazza, avvicinandoci alla facciata della chiesa incontriamo un altro cadavere. Accanto al corpo senza vita di una ragazza una candela accesa ed una persona che aspetta chi venga a ritirare il cadavere. Ci spiegano che é stata colpita da alcuni calcinacci della facciata del tempio e poi é stata calpestata dalla gente impaurita che usciva dal santuario cittadino dedicato alla Madonna della Mercede.
Continuando il percorso incontriamo molti edifici pubblici (il tribunale, ministero della salute e sicurezza sociale, banche, farmacie, supermercati, alcuni al suolo ed altri gravemete lesi e pericolante. Il paesaggio, visto di notte, alla luce di alcuni fari qua e la di automobili semi coperte da detriti, é veramente dantesco. C’é materia per una pellicola apocalittica.
Al rientro in casa, iniziano i messaggi e le chiamate telefoniche: l’epicentro é stato fissato al nord della diocesi; Pedernales é distrutta, contatto i sacerdoti per sapere come stanno e la sorte delle case parrocchiali e delle chiese. Tutti sono letteralmente sconcertati ed increduli di fronte al disastro, ma forti ed in mezzo al loro popolo per dirigere i primi soccorsi.

Mi arrivano notizie da una popolazione vicina a Portoviejo: le suore, direttrici di una scuola, sono rimaste sotto le macerie. Dopo un poco ci si assicura che tre suore e due postulanti sono state riscattate, ma che una suore e cinque postulanti sono ancora sotto le macerie. Chiedono macchinari per riscattarle, ma è impossibile farlo con mezzi pesanti, perché invece di favorire il riscatto c’è il pericolo di recare loro più danno. Solo la domenica sera potranno essere riscattate le salme delle sei giovani.
La casa del vescovo, che ha resistito molto bene al sisma, frattanto si trasforma in ospedale. Ogni tanto qualche scossa, meno intensa della prima, spaventa la gente e fa correre coloro che si trovano sotto qualche porticato.
Le prime luci dell’alba portano finalmente alla vista di tutti la magnitudine della tragedia. Si incomincia la conta delle vittime e dalle prime poche decine delle prime ore, si passa a contare centinaia.
La domenica, il martedì e il mercoledì seguenti saranno momenti di molto dolore. Le vittime sottratte alle macerie sono portate alla officina di criminalistica per essere riconosciute, sono portate ad un cimitero per essere accomodate nel feretro, cosparse di calce e poi portate alle rispettive case o direttamente alla tomba. I sacerdoti, se avvisati per tempo, celebrano la Messa vicino alle abitazioni dove sono vegliati i morti o dicono una preghiera e poi si formano piccole processioni fino ai cimiteri.

Si scoprono intere famiglie schiacciate dei detriti delle loro case o dei luoghi, strade, supermercati, alberghi dove il terremoto li ha trovati.
La domenica sera si cerca di celebrare qualche messa qua e la, fuori dalle chiese e ci si prepara ad affrontare la grande emergenza. Le grandi domande che vanno su e giù dalla testa al cuore: “perché Signore tanta distruzione e morte? Perché tanta sofferenza? Perché noi vivi e gli altri morti? Il Signore ci ha castigati?...” la risposta costante è prima di tutto un abbraccio, poi: “il Signore è misericordioso, non vuole la morte, ma la vita. Quello che permette il Signore non è per umiliarci, ma per ammonisci e salvarci...” ed allora segue il racconto di ognuno: “è vero, il Signore è stato buono con me; mi da una nuova opportunità per essere più buono e per aiutare gli altri ed avere rapporti più sinceri, generosi, felici con gli altri...” il cuore incomincia ad aprirsi alla speranza.

Incominciano ad arrivare i primi soccorsi: acqua, viveri, casse di banane e di mele, materassi, vestiti, casse da morti. Tutto portiamo ad un centro di raccolta e smistamento; i primi volontari sono i sacerdoti della città che, sudati “come falsi testimoni”, scaricano il primo container di vettovaglie da sera inoltrata fino a oltre la mezza notte.

Gli aiuti e le manifestazioni di solidarietà arrivano dal mondo intero, ma presto ci rendiamo conto che le difficoltà verranno più tardi. Per questo a quanti ci chiedono: “che possiamo fare per voi?” rispondiamo: “non dimenticateci, avremo bisogno di voi quando inizieremo la ricostruzione”. Ed é quanto ancora ripeto a tutti, perché la ricostruzione non sarà solo di colonne, mattoni, cemento, ma di famiglie, comunità parrocchie, relazioni umane nuove, nate sullo stile e le esigenze del Vangelo. Per cui, ciò che piú chiediamo é la preghiera, perché il mondo nuovo nasce dalla nostra predisposizione ed apertura alla Parola che salva. Grazie di cuore per il vostro interesse ed affetto per noi.
+LORENZO VOLTOLINI 09 mag 2016 00:00