lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Roma
di SERGIO PERUGINI 17 gen 2022 09:47

Le novità a partire da Matrix Resurrections

Timore, e non poco, per il confronto con il nuovo capitolo della saga “Matrix”, “Matrix Resurrections”, uscito nei cinema italiani dal 1° gennaio 2022. La nota trilogia del duo Wachowski, lanciata quasi in sordina nel 1999 come riflessione futuristica e distopica sulla nostra società, ha vinto nel 2000 ben quattro Premi Oscar per la sua carica di innovazione tecnica e visiva. La trilogia “Matrix”, poi, si è conclusa all’inizio degli anni Duemila aprendo al duo Wachowski le porte di Hollywood e copiosi budget. Tra i loro progetti si ricordano la riuscita sceneggiatura di “V per Vendetta” (2005), i discussi blockbuster “Cloud Atlas” (2012) e “Jupiter. Il destino dell’universo” (2015), e la serie Tv Netflix “Sense8” (2015-18).

A distanza di circa vent’anni dal mostro sacro e cult “Matrix”, Lana Wachowski torna da sola sul grande schermo rimettendo mano al progetto con la Warner Bros e quasi tutto il cast originario. Capofila sono sempre Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss. Tra i nuovi volti: Jessica Henwick nei panni dell’hacker Bugs; Neil Patrick Harris nel ruolo di uno psicoterapeuta; e Jonathan Groff, socio di Thomas Anderson e volto dell’Agente Smith (ruolo in precedenza ricoperto da Hugo Weaving).

La storia è coerente con i capitoli precedenti: dismessi i panni di Neo, Thomas Anderson conduce la sua vita da cinquantenne a capo di una rigogliosa società di videogiochi; seppure sia nell’agiatezza sente di avere degli irrisolti nel proprio passato e non riesce a distinguere il confine tra realtà e allucinazione. Un giorno si presenta da lui l’hacker Bugs su indicazione di Morpheus, capitano della comunità di Zion in un mondo parallelo. E così le sue certezze crollano del tutto.

Non è affatto facile maneggiare questo “Matrix Resurrections”: confronti, infatti, con il primo film purtroppo non possono reggere. Occorre però riconoscere un grande sforzo da parte del team ideativo nel trovare la quadra con i capitoli precedenti, mettendo in campo uno continuo gioco di flashback e rimandi per dare compattezza e coerenza alla narrazione tutta. La prima parte sembra persino prendersi gioco del fenomeno “Matrix” in sé: subentrano toni da sberleffo, fortemente (auto)ironici; Quando però la storia entra nel vivo, si ritorna sul vero binario del “Matrix” che tutti conoscono. Elemento nuovo e straordinario di questo capitolo è il passaggio dall’Io al Noi, e soprattutto il posto centrale che va a occupare l’amore nel racconto. Neo non è più un eroe solitario, bensì è parte di un Noi, ma prima di tutto di una coppia, quella che si riforma (superando diffuse difficoltà) tra lui e Trinity. L’eroe, dunque, sembra dirci Lana Wachowski, non funziona più da solo, non genera più “salvezza”. Invece, l’amore e la condivisione di un orizzonte progettuale con Trinity danno slancio a tutto e tutti, attivando un moto rivoluzionario che aggrega una comunità valorosa e manda in crash l’illusorio Matrix. Colpisce, in particolare, nella narrazione il virare della prospettiva dall’eroe maschile a quello femminile: la “salvezza” qui è donna, ed ha il volto magnetico e granitico di Trinity. Un cambio di sguardo anche in linea con il nostro presente e l’impegno che Hollywood sta mettendo nelle sue produzioni più recenti. I puristi di “Matrix” potrebbero forse non essere d’accordo, ma nell’insieme “Matrix Revolutions” è un’opera che riesce a convincere e trova senso in questi aspetti, allargando il campo della riflessione rispetto al passato. Dal punto di vista pastorale “Matrix Resurrections” è consigliabile, problematico e per dibattiti.

Sul piccolo schermo, invece, per la precisione sulla piattaforma di streaming Prime Video, ha preso posto “The Tender Bar” di George Clooney. Il film è tratto dal romanzo “Il bar delle grandi speranze” del Premio Pulitzer J.R. Moehringer, un giornalista e scrittore statunitense classe 1964. Tra i suoi lavori più celebri si ricorda anche il bestseller “Open”, biografia cult del campione del tennis Andre Agassi. La vita di J.R. Moehringer, raccontata in questa sua autobiografia d’esordio nel 2005, è diventata appunto un film diretto dal Premio Oscar George Clooney, con protagonisti Ben Affleck e il giovane Tye Sheridan.
Stati Uniti anni ’70, a Manhasset nella zona di Long Island (Stato di New York) il giovane Junior – J.R. (Daniel Ranieri/Tye Sheridan) cresce con la madre Dorothy (Lily Rabe), gli eccentrici nonni e il rassicurante zio Charlie (Ben Affleck), che lo guida all’amore per la letteratura. J.R. ha come obiettivo l’Università di Yale e diventare uno scrittore.
George Clooney non è mai scontato né banale. Con il suo ultimo film, “The Tender Bar”, si muove nelle pieghe della periferia povera degli Stati Uniti in cerca di un riscatto che passa dai valori e dalla scommessa sull’educazione. Clooney parte dalla vita di Moehringer per raccontare il sogno americano.

Il risultato è valido e convincente, con una prova maiuscola di Ben Affleck nei panni dello zio Charlie, mentore e custode del cammino di J.R.: l’attore usa tutte le sue corde espressive, di certo ben note, ma con ritrovata tenerezza e luminosità.
“The Tender Bar” narra un viaggio esistenziale dall’infanzia all’età adulta di uno scrittore, dove la famiglia occupa un ancoraggio solido nonostante le sue fragilità. È un film affascinante, marcato da composta dolcezza. Dal punto di vista pastorale è consigliabile, problematico e per dibattiti.


SERGIO PERUGINI 17 gen 2022 09:47