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Brescia
di MASSIMO VENTURELLI 09 ott 2018 16:02

Cancro: la terapia delle relazioni

Da un racconto giunto in redazione l’importanza, lungo l’intero corso della malattia, dell’accompagnamento di amici e di figure specializzate

La storia di Mariuccia è arrivata in redazione… Una delle tante lettere che di settimana in settimana arrivano per essere pubblicate. Non è però una storia come tante altre.. O meglio quella di Mariuccia è l’esperienza condivisa da tante altre donne. Non tutte però hanno il coraggio di metterla nero su bianco perché possa essere conosciuta È una storia che racconta dell’esperienza della malattia oncologica e di come possa essere vinta grazie alla scienza e alla medicina, ma anche con l’apporto di relazioni sincere, autentiche, profonde. Quella che racconta Mariuccia Orti è una storia a lieto fine, che ha qualche anno alle spalle, e che invece del classico “C’era una volta” si apre con la parola “carcinoma”.

Da dove si parte a raccontare questa storia?

L’inizio della mia storia ha una data ben precisa: 20 maggio, con l’invito ad approfondire per scrupolo un esame, quasi fosse una cosa da poco, per approdare a scoperte sempre peggiori, passando in tempi rapidi, con una sorta di accanimento, attraverso tutte le fasi possibili che portano inesorabilmente a una mastectomia e all’asportazione dei linfonodi del cavo ascellare.

Andiamo per ordine: diceva che tutto ha inizio un 20 di maggio…

Sì, con l’esecuzione di un accertamento di un fibroadenoma, un nodulo benigno che, mi era stato detto, andava tolto per sicurezza. Quando, però, mi presento per il ritiro dei primi accertamenti dell’ago aspirato, mi dicono che devo sottopormi immediatamente a biopsia cellulare. Otto giorni dopo arriva l’esito: “È benigno ma va tolto perché al limite”. Mi sento forte quando affronto il primo intervento con la speranza che sia una cosa da poco a tal punto che chiedo venga fatto il prima possibile. Mi sembra un intervento ben riuscito ma il giorno dopo alla medicazione il chirurgo si accorge che i punti non vanno bene, mi riapre la ferita, sistema i punti tutto senza anestesia, un male terribile. Penso sia finita ma tre giorni dopo una nuova una complicazione: si è sviluppata un’infezione, una tortura che durerà fino a metà agosto. Nonostante tutto, mi dico, ho di che rincuorarmi: il mio nodulo era benigno, nei limiti ma benigno...!.

Invece…

Invece la speranza si spegne presto. Dopo 15 giorni mi presento per la medicazione, ma il medico mi accoglie con le carte in mano, mi fa accomodare e mi comunica che la situazione è più seria del previsto e bisogna intervenire. Nel nodulo asportato è presente un carcinoma al 50%. Servono ulteriori indagini, è necessaria una quadrantectomia (l’asportazione di quella parte di seno in cui si trova la lesione, ndr). In più, per sicurezza, è prevista l’asportazione del linfonodo sentinella….

Qual è la sua reazione?

Scoppio in lacrime il medico mi abbraccia, l’infermiera cerca di tranquillizzarmi…. La parola carcinoma continua a suonarmi nella testa. Perché a me? Il tempo per pensare non c’è… Si deve procedere con un altro intervento per non permettere che le “cellule cattive “, come le chiama il chirurgo, possano diffondersi. Mi armo di coraggio, ascolto tutto l’iter che mi viene proposto e affronto il 18 agosto il secondo intervento…

Si apre così un nuovo capitolo della sua storia…

Sì, forse una delle più pesanti, con l’attesa dell’esito dell’esame istologico. Il 3 settembre mi chiamano per darmi il referto istologico: carcinoma invasivo duttale infiltrante più linfonodo ascellare positivo. “Mastectomia e radicalizzazione dei linfonodi ” dice il medico sottovoce, senza guardarmi negli occhi, quasi scusandosi di tanto accanimento. Realizzo, così, che ho un cancro davvero brutto. Mi arriva anche il consiglio di affrontare “questo calvario” passo dopo passo, come ha fatto nostro Signore, mi suggeriscono due amici sacerdoti. Ho bisogno di condividere l’ ansia, la paura, la ribellione, le emozioni che non hanno più nome ma che il tumore mi scatena dentro. La mia, mi viene detto, è una malattia cronica grave, una realtà da accogliere, da accettare, una realtà con cui convivere.. Non è facile, ma penso in modo positivo. Provo a convincermi che questo cancro fetente non mi debba preoccupare. Inizia un lungo percorso, imparo che forse sempre non si guarisce ma sempre si cresce, se sai condividere e trovi chi ti sa ascoltare.

Quanto è stato importante avere avuto qualcuno accanto in questo cammino?

Direi che è stato importantissimo l’accompagnamento che ho condiviso con le mie “stampelle”, i due preti amici che non mi hanno mollata un solo momento e che mi hanno costantemente sostenuto. Raccontare una malattia per essere aiutati a superarla è importante. Importantissima è stata anche la presenza, la vicinanza di tante altre persone, in modo particolare mio figlio Stefano e mio marito Angelo. E poi ancora quella dei fisioterapisti della Domus e di Ilaria in particolare, che si è presa cura di me con la sua professionalità e della dottoressa Chiari. L’amorevole attenzione delle mie vicine di casa Rosa, Stefania, Ester. E poi ancora la fiducia negli amici, che con le loro attenzioni hanno saputo accogliere nella mia sofferenza e consolare nei momenti di sconforto. A un certo momento è come vivere in comunità, la tua storia non ti appartiene, o almeno non è solo tua, ma inizia a riguardare anche altri, perché altri ti guardano, ti osservano, sono attenti a come vivi questa sofferenza. Non ne sei derubato, c’è una consapevolezza, c’è una condivisione.

Cioè?

È un riconoscere che c’è stata una marcia in più che mi ha aiutata nel compiere il mio percorso. Ancora oggi, ad anni di distanza, oggi non riesco ancora a cancellare gli innumerevoli sms che mi sono stati inviati dagli amici e dai miei giovani nel tempo della malattia e che sono stati il carburante, l’energia per andare avanti. Conservo come un ricordo prezioso la vicinanza di sacerdoti, i colleghi di lavoro, di tanti amici, l’attenzione e la discreta presenza del mio parroco che ad ogni ritorno mi accoglieva con infinita tenerezza. È stata una solidarietà grande che mi incoraggiava a non mollare.

Quella della malattia è un’esperienza che appartiene al passato...

Sì. Fortunatamente c’è stato il ritorno alla normalità, che poi è più una ordinarietà delle cose, perché non c’è più una normalità, e ogni giorno va affrontato in modo unico, perché più nessuna giornata è più uguale ad un’altra. Ho dovuto imparare a non negare la malattia.

E poi?

Poi si ritorna a vivere, non più con progetti a lungo termine, ma nella ordinarietà delle giornate. Imparo che la vita è adesso come dice Baglioni in una bella canzone che calza a pennello in momenti come quelli che ho vissuto. Oggi, ad anni di distanza posso dirmi fortunata: la malattia mi è stata diagnosticata velocemente, non ha fatto danni irreparabili, ho attraversato una lunga fase terapeutica. Grazie all’aiuto di tante persone, però, ho capito che il segreto è non mollare mai e investire nella vita con tenacia ed entusiasmo.

MASSIMO VENTURELLI 09 ott 2018 16:02