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Brescia
di SILVIA VIANELLI 29 apr 2024 09:37

Testimonianza. Un dialogo fra GS e Fadigati

Mercoledì 24 aprile chi non era alla libreria  Paoline tra le 18 e le 19 non è cresciuto rispetto a com’era mercoledì 24 aprile alle 17.59.

Ho sedici anni, frequento le scuole superiori. Mi capita spesso di sentire adulti che parlano di “opportunità di crescere”, ma altrettanto spesso sono esperienze che non mi lasciano nulla di nuovo. Mercoledì sera, invece, io e un’ottantina di altre persone – soprattutto ragazzi delle superiori – abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare un incontro di quelli che realmente ti possono cambiare: un dialogo illuminante tra Cecilia, una ragazza del gruppo GS di Brescia che ha solo un anno più di me, e lo scrittore e professore Francesco Fadigati, prendendo spunto dal suo ultimo libro “Ti aspetterò alla fine del mondo”. Niente di intellettualistico, astratto, freddo. Al contrario, si è andati diretti al sodo con domande tipo: cosa desideri veramente? Cosa ti rende davvero felice? Cos’è la libertà? Per cosa siamo fatti, ovvero come si può capire la propria vocazione? Chi ti aiuta a trovarla?

Una frase mi ha particolarmente colpita: “Il talento è il luogo dove tu sei più naturale”. Cosa significa? “Non vuol dire che sei il migliore a fare quella cosa, ma che sei davvero te stesso quando la fai. E automaticamente sei più libero, e la realtà ti prova che hai un dono”. Non serve mica l’ugola d’oro – ha proseguito Fadigati fissandoci negli occhi, mentre raccontava commosso l’esempio di una sua alunna, timida al punto da sentirsi quasi imprigionata in sé stessa, che a poco a poco si è resa conto che tutti i suoi amici si confidavano con lei. Faticava a esporsi, questo è vero, ma aveva un talento tanto prezioso quanto raro: sapeva ascoltare. Ecco la sua vocazione. “Io da bambino giocavo a pallone, ero bravino, mi piaceva, ma niente di ché. Quando mi davano in mano una biro, invece, incominciavo a fantasticare e, a prescindere dal fatto che scrivessi bene o no, mi sentivo in pace con me stesso. Ero al mio posto”. Questa è la vocazione: non eccellere, ma quel luogo in cui naturalmente ti senti a casa. 

Il dialogo è proseguito a lungo su questo tema, le domande erano parecchie… Vocazione: letteralmente, “venire chiamati”. E se io, e se noi, che non siamo personaggi dei libri o dei film, non venissimo chiamati? Se non ci capitasse di incontrare qualcuno o qualcosa di così grande per cui decidere di spendere la nostra vita? Fadigati ha citato un racconto di Buzzati, “Le nubi”. Per ognuno è stata plasmata una nube che, meravigliosa, vaga nel cielo assumendo le forme più svariate. La luna ne sottolinea i contorni, riempiendola di mistero. Ma un certo Giorgio Filicari dorme, ha serrato le imposte, e la nube che per lui è stata plasmata resterà inosservata. “Capite? – ha chiesto Fadigati serio – dobbiamo imparare ad ascoltarla davvero la realtà: spesso bussa, e noi per non scomodare la nostra routine ci tappiamo le orecchie, chiudiamo le imposte. Ci chiudiamo in noi stessi, precludendo la possibilità di stupirci”.

Nei giorni scorsi, insieme a Cecilia e ad altri amici di GS ci siamo trovati per discutere del libro di Fadigati e preparare le domande in vista dell’incontro. Mi aspettavo qualcosa di interessante, ho trovato molto di più. Non un semplice, bravo, scrittore, ma un uomo che non ha paura di guardarsi dentro e di raccontare ciò per cui vale la pena vivere. “Ma per lei – ha chiesto Cecilia alla fine – cos’è la libertà? Cosa significa sentirsi liberi?” “Sentirsi amati”, ha risposto. “Sono libero nel momento in cui mi sento figlio, quando mi scopro amato da qualcuno non per quello che so fare, ma per quello che sono”.


SILVIA VIANELLI 29 apr 2024 09:37