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di MASSIMO VENTURELLI 25 lug 2019 10:28

Un dono reciproco con Kiremba

Paolo Villani, dal novembre 2017 responsabile dell’Unità operativa di terapia intensiva neonatale e di neonatologia, racconta la sua esperienza

“Quello del neonatologo è un mestiere che può essere svolto in tanti modi. A me è sempre piaciuta è la parabola dei talenti, non perché io ne abbia di particolari, ma perché mi ha aiutato a comprendere che quando uno ha delle competenze e delle conoscenze è bello che possa spenderle, metterle a disposizione anche degli altri”. Trova giustificazione in questa frase la “passione” per l’Africa di Paolo Villani, dal novembre 2017 responsabile dell’Unità operativa di terapia intensiva neonatale e di neonatologia di Poliambulanza. Questa passione recentemente l’ha portato ad accogliere l’invito di Poliambulanza Opera Charitatis a partecipare a un progetto per migliorare i livelli di sopravvivenza dei neonati che nascono nell’ospedale di Kiremba. Nel corso degli ultimi quindici anni il suo impegno con Medicus Mundi e la collaborazione con la Fondazione Museke l’ha portato più volte in Africa, soprattutto a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, presso l’ospedale Saint Camille dei camilliani, che in quegli anni ospitava l’unico reparto di neonatologia di tutto il Paese.

Impatto. “Il primo impatto con l’Africa – racconta Paolo Villani a qualche settimana dal rientro da Kiremba – è stato forte e non senza contraccolpi. Abituati alla medicina occidentale chiamata a curare bambini affetti al massimo da una patologia e dotata di tutta la tecnologia necessaria per provare a salvarli, destabilizza trovarsi a confronto con un numero enorme di neonati che da noi potrebbero essere tranquillamente salvati e che invece lì muoiono”. I numeri riportati dal neonatologo sono di quelli che lasciano senza parole: in alcune zone dell’Africa, specialmente in quelle in cui si è trovato a operare, la mortalità infantile arriva a percentuali del 75%. “La constatazione che molte delle patologie che contribuiscono a questa percentuale – continua Paolo Villani – sono facilmente risolvibili mi ha portato ad accettare l’invito a vivere la prima esperienza a Kiremba”. Esperienza che, evidentemente è stata “positivamente contagiosa”, visto che in seno all’equipe che il neonatolo guida in Poliambulamza si è creato, senza alcuna sollecitazione particolare, un gruppo di persone (medici e infermieri) che si è messo a disposizione del progetto che Poliambulanza Opera Charitatis segue nell’ospedale di Kiremba dedicato a mons. Renato Monolo, con l’obiettivo di migliorare i livelli assistenziali in ambito neonatologico.

Scambio. Quello con Africa, e nello specifico con l’ospedale creato a Kiremba dai bresciani negli anni Sessanta del secolo scorso per ricordare l’elezione di Paolo VI, non è per Paolo Villani e per altri colleghi di Poliambulanza, un rapporto caratterizzato dal solo dare, dal mettere a disposizione di situazioni bisogno le proprie capacità. Il rapporto è di scambio, di arricchimento reciproco, sia sul piano personale sia su quello professionale. “Questa esperienza – racconta – ha cambiato le mie priorità. Le differenze che ho toccato con mano devono interpellare il senso di responsabilità e fare scattare un impegno per cercare di colmare, per quanto possibile, questo divario”. Torna così il discorso dei talenti: “Chi ha avuto la grazia o la fortuna di nascere in un posto piuttosto che in un altro – continua il neonatologo – non può non mettere a disposizione di chi ha avuto meno ciò che ha ricevuto. E questo è un aspetto che segna non solo la vita privata, ma anche quella professionale”.

Dono. C’è poi un ultimo grande regalo che l’Africa e Kiremba, pur con le loro grandi povertà, gli hanno fatto: un modo diverso di intendere il rapporto con la morte, “che è – racconta – una fase della vita di ogni uomo, e per questo è accettata. Da noi la morte, anche quando avviene in età avanza, resta qualcosa di inaccettabile. Immersi come siamo in una elevatissima tecnologia che sembra potere tutto, finiamo però per perdere il senso del limite che anche la medicina conosce. In Africa, a Kiremba, invece, c’è l’accettazione d questi limiti e la consapevolezza che c’è qualcosa di più grande che sovrintende alla vita e alla morte”.

MASSIMO VENTURELLI 25 lug 2019 10:28