lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Brescia
di LUCIANO ZANARDINI 10 ott 2019 15:40

Una Chiesa in uscita

Don Fabio Corazzina, classe 1960 e originario di Castenedolo, è stato chiamato a guidare la parrocchia di S. Maria Nascente a Fiumicello

Durante il suo ministero sacerdotale, don Fabio ha avuto la fortuna di incontrare molte comunità. Proviamo a ricostruire questa storia?

La comunità di Sant’Eufemia mi ha preso e accolto. Erano gli anni in cui nasceva San Polo. È stato un battesimo accompagnato da alcune figure adulte che mi hanno ulteriormente educato all’attenzione sociale e al Vangelo degli ultimi. A Rovato, quando le persone morivano di Aids e la piaga della tossicodipendenza piegava paesi interi, ho vissuto un momento appassionato di collaborazione con le altre parrocchie del territorio. A San Bartolomeo, un vecchio lazzaretto, ho incontrato la comunità dei malati di mente dopo la chiusura dei manicomi, la comunità degli istriani e una comunità semplice e disponibile con tutte le sue fatiche. Poi l’arrivo a San Giovanni con don Amerigo e con don Armando, con le fatiche e le bellezze di queste realtà. Erano gli anni delle accuse di pedofilia ai sacerdoti, agli insegnanti e ai bidelli: noi abbiamo portato avanti con dignità e con passione la scommessa educativa. A Santa Maria in Silva ho sperimentato la prima esperienza da parroco, scommettendo su una dimensione di parrocchia aperta e disponibile, una parrocchia preoccupata di essere, senza pretese ma con il desiderio di ricerca del bello, un piccolo segno sulla città.

Spesso assistiamo a comunità che rischiano di chiudersi in se stesse. Quanto una comunità cristiana ha il dovere di aprirsi agli altri e al territorio in una città in continua trasformazione?

L’apertura di una comunità appartiene al suo apparato genetico. Ripensare che cosa vuol dire essere parrocchia in città è una delle grandi sfide che ci attendono. Ci sono più di 50 parrocchie: hanno senso o non hanno senso? Abbiamo tante strutture: come le utilizzeremo? Che energie avremo a disposizione per tenerle in piedi? Che servizio potremo offrire? Mantenere un piccolo servizio interno senza la capacità di spendersi insieme e di avere un progetto un po’ più ampio ci costringerà poi a chiudere completamente. Già oggi le energie in parrocchia sono poche e dobbiamo usarle bene. Dobbiamo utilizzare l’intelligenza del Vangelo che abbiamo come eredità, la nostra passione culturale, educativa, spirituale e la nostra attenzione agli ultimi e ai poveri. Purtroppo continuiamo a immaginare che per difenderci dobbiamo chiuderci, ma non è così. Il Signore ci chiede di uscire. Cosa vuol dire a Brescia essere Chiesa in uscita come dice papa Francesco? Entrano in campo tre livelli: il modello di Chiesa, il modello di parrocchia e il modello di ministerialità. Su questo non stiamo aprendo un dibattito sufficiente.

Anche la ricca Brescia soffre

Ci sono sicuramente delle fragilità: dalla mancanza di lavoro ai papà senza casa dopo la separazione fino alle famiglie sfasciate... Ma Brescia deve riconoscere anche l’impoverimento culturale. Pensiamo a cosa sono state le grandi Editrici... ora ci stiamo abbruttendo. L’altro elemento da custodire è la passione educativa: va ripresa in mano e riscritta. Stiamo continuando a ripetere storie e progetti di 10/20 anni fa, rincorriamo il passato e non viviamo il presente.

Nel suo cammino sono stati determinanti gli incontri con il mondo associativo.

Ho avuto la fortuna di incontrare il mondo dei movimenti e delle associazioni di stampo laicale che mi hanno illuminato. Penso all’Agesci e allo scoutismo nel rapporto con la natura; penso all’Azione Cattolica oggi troppo silenziosa; penso al cammino di Pax Christi e al Vangelo della pace; penso all’esperienza delle Acli; penso all’esperienza del Focolare con la sua attenzione ecumenica e per il dialogo interreligioso; penso al Movimento Nonviolento; penso ai Movimenti femminili; penso ai Movimenti legati all’ambiente... Il Vangelo ha qualcosa da dire sulla natura, sulla città, sull’accoglienza, sull’educare, sull’impegno politico come servizio, sulla pace, sul dialogo e sul confronto. Possiamo costruire un nuovo modello sociale, una convivenza diversa, meno arrabbiata, meno egoista e meno violenta.

LUCIANO ZANARDINI 10 ott 2019 15:40