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Brescia
di LUCIANO FEBBRARI 16 mar 2017 15:54

Bettazzi: Vi racconto Paolo VI

Mons. Luigi Bettazzi, ultimo vescovo italiano vivente presente al Concilio, rilegge l’attualità dell’enciclica Populoroum Progressio che sarà affrontata, dal 23 al 25 marzo, in un convegno in Cattolica con più di trenta relatori internazionali

A 50 anni di distanza, qual è l’attualità dell’enciclica di Paolo VI “Populorum progressio”?

Paolo VI scrisse quest’enciclica per approfondire il concetto della chiesa dei poveri, di cui temeva di parlare per paura che finisse in politica. È una delle encicliche più forti, Montanelli diceva che era un’enciclica "comunista”, perché prendeva le parti del settore fortemente maggioritario, ma più povero dell’umanità. La cosa interessante, come successe per la “Rerum novarum”, è che venne commemorata dopo 20 anni da Papa Giovanni Paolo II nella “Sollicitudo Rei Socialis” e dopo 40 anni venne ripresa da Benedetto XVI nella “Caritas in veritate”. Segno di come avesse inciso il cammino della chiesa, diventandone punto di riferimento. Ha infatti dato la spinta per fare in modo che la chiesa capisse che impegnarsi per i popoli e per la giustizia fa parte del suo compito.

Appare cambiata la realtà della Chiesa dopo 50 anni?

C’è un impegno maggiore, un attenzione maggiore. Prima del Concilio, la Chiesa era chiusa in se stessa. Ora invece la Chiesa non è più la riserva della salvezza, ma un lievito nel mondo, un fermento, per l’unione con Dio e la fratellanza universale. Con la “Populorum progressio” Paolo VI aveva istituito la commissione “giustizia e pace”, rendendo l’impegno per la pace costitutivo della chiesa e aveva lanciato anche la prima giornata mondiale della pace. Ci sono ancora resistenze, si è fatto ancora poco, ma quello è stato un primo passo importante della Chiesa nel cammino della pace e della solidarietà.

Lei è uno dei testimoni del Concilio Vaticano II, anche nella chiesa ogni tanto si assiste a chi vorrebbe tornare a prima del Concilio o a chi corre un po’ troppo avanti... Secondo lei dove sta l’interpretazione sbagliata?

È chiaro che il rinnovamento disturba chi ha costituito un certo ordine. Già durante il Concilio la resistenza arrivava da dentro il Vaticano, perché per loro la tradizione consisteva nel restare fermi al passato, ovvero al Concilio di Trento. Ma la Chiesa deve essere una cosa viva e per esserlo è necessario che cambi si sviluppi. Come diceva Giovanni XXIII: “Non è la verità che cambia, cambiamo noi, che la capiamo meglio, secondo la mentalità del nostro tempo. Non deve essere un Concilio dogmatico, ma pastorale: ovvero che si interroga su come parlare alla gente per fare in modo che comprenda la verità per poterla seguire”.

Paolo VI scriveva che “la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale, i popoli della fame ci interpellano oggi in maniera drammatica”...

Il grande principio a cui lui si richiama è la destinazione universale dei beni. Noi mettiamo sempre al punto di partenza la proprietà e facendo in questo modo siamo arrivati al punto che circa 80 famiglie hanno l’equivalente di metà dell’umanità. Questo è ingiusto, perché il mondo è fatto per l’umanità, ogni essere umano ha diritto di vivere una vita umana. È normale che ci sia chi ha di più e chi ha di meno, ma devono esserci due principi di base. Il primo: non si può accumulare per accumulare. Il secondo: chi ha deve avere per dare ovvero gestire ciò che ha in modo da utilizzarlo per aiutare gli altri.

Cos’è che non è stato compreso fino in fondo di Paolo VI?

Aveva una formazione diplomatica, stava molto attento a ciò che diceva. Ci ha fatto soffrire anche un po’ perché al Concilio voleva a tutti costi che si arrivasse all’unanimità. Aveva la saggezza di fare dei piccoli ritocchi che permettessero di avere pochi contrari: così otteneva le votazioni della minoranza senza però chiudere le porte alla maggioranza. E salvaguardava il testo.

LUCIANO FEBBRARI 16 mar 2017 15:54