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di MASSIMO VENTURELLI 10 set 2020 09:00

Don Stefano Pe, l'arte a servizio di Dio

Sabato 12 settembre il vescovo Pierantonio ordina, in Piazza Paolo VI, quattro nuovi sacerdoti bresciani. Tra loro, don Stefano Pe che in questa intervista si racconta

Che effetto può fare a un artista essere per una volta soggetto di un quadro che qualcun altro sta dipingendo? Alla domanda potrebbe forse rispondere don Stefano Pe, 25 anni da Pian Camuno. Con i suoi trascorsi artistici (gli studi liceali a Lovere, ndr), passione che confessa ancora di coltivare di tanto in tanto (“senza grandi risultati” ammette), a pochi giorni dall’ordinazione presbiterale sembra vedere in modo sempre più chiaro l’affresco grande in cui il Signore l'ha inserito chiamandolo al sacerdozio. E l’impressione, ascoltando le sue parole, è che si senta più a suo agio nei passi del soggetto inserito nella creazione artistica di Qualcun altro che in quelli del pittore...

Don Stefano: da possibile pittore a sacerdote, seguendo i tratti di un disegno in cui Qualcun altro ti ha collocato. Non male come percorso...

Beh, è una prospettiva a cui non avevo mai pensato, anche se la mia vocazione nasce in parrocchia e, come il processo di realizzazione di un affresco, si compone di tanti momenti diversi. Non c’è un tempo preciso in cui posso dire di avere avvertito la chiamata, di avere tracciato la sinopia di un affresco di cui, solo ora, comincio a distinguere i contorni. Se guardo oggi alla mia storia, però, non possono che notare un insieme di momenti, di incontri, di persone che mi hanno portato a domandarmi se la strada del sacerdozio potesse essere quella giusta per me, se era veramente quello che il Signore mi chiedeva.

Continuiamo con la metafora artistica: quali sono state le “macchie di colore” (esperienze significative, incontri, persone, etc.) che ti hanno confermato che quella del sacerdozio poteva essere la strada che il Signore andava indicandoti?

Sicuramente nella mia vita ci sono stati momenti più importanti di altri e che mi hanno veramente toccato nel profondo. Penso a quello iniziale, che risale alla seconda elementare, quando durante una Messa feriale il mio parroco del tempo, che era don Mario Prandini, mi chiese se volessi servire all’altare come chierichetto. Solo più tardi ho capito che è stato proprio con quella prima esperienza di ministrante in parrocchia che ha preso avvio il mio cammino di avvicinamento all’ordinazione sacerdotale che sto per ricevere. La seconda “macchia di colore” per me significativa è stata l’incontro con un altro sacerdote che era quiescente in parrocchia, don Giuseppe Garatti, che mi ha fatto conoscere l’amore per la chiesa, per la casa di Dio e quello per l’eucaristia e la confessione.

Tu arrivi da una terra, come la Valle Camonica, costellata da figure di santi esemplari. A quale ti senti più legato?

Rispondo ricorrendo ancora all’arte: più che da un singolo artista, sono affascinato dalla “corrente” a cui appartiene. Ci sono tante figure di santi a cui mi sento legato in modo particolare, ma ciò che attrae veramente sono i contesti della santità: penso per esempio ai santi dell’educazione, alla santità che si manifesta nel servizio alla carità, nel servizio alle situazioni di bisogno e di difficoltà. Da buon camuno, comunque, nutro una passione particolare per due espressioni di santità della mia terra. La prima è quella del santuario della Madonna del Monte di Gianico, che sin da piccolo frequentavo con mia zia; la seconda è quella per il Beato Innocenzo da Berzo, una figura che mi ha accompagnato in questi anni. Mi reco spesso sulla sua tomba all’Annunciata di Borno per ringraziarlo, perché lo sento molto vicino e perché mi ha consentito di scoprire nella mia strada l'importanza della preghiera intensa, la stessa che ha praticato nella sua vita.

Quale peso ha nella tua vita la preghiera?

Tanto. In questi anni ho scoperto, con un percorso non sempre semplice, come la preghiera sia la base, la roccia su cui poggia e viene edificata la mia vita. Senza la preghiera non avrei mai avuto un dialogo così forte con Dio e non avrei scoperto come il suo amore si intrecci con la mia vita, con le persone che ho incontrato e che mi hanno aiutato a comprendere la mia vocazione, che ho avvertito in modo compiuto soprattutto negli anni delle scuole superiori.

Già abbiamo detto dei tuoi studi artistici. Ci racconti, invece, il percorso che ti ha portato in Seminario?

Già negli anni del liceo artistico a Lovere avvertivo dentro di me un desiderio, una sorta di voce che mi ricordava che quella della vocazione sacerdotale poteva essere la mia strada e così, terminati gli studi superiori, ho fatto il grande passo. Ho così vissuto l’anno della propedeutica insieme ad altri sei giovani. All’inizio non è stato semplice perché dovevo imparare materie nuove come il latino e il greco che non avevo mai affrontato nel percorso di studi precedenti. C’era poi la dimensione della vita comunitaria. Sono poi arrivati gli anni della teologia e del servizio in tante parrocchie della diocesi. Sono stati anni segnati da esperienze significative, da incontri che si sono trasformati in amicizie profonde e importanti, che mi hanno fatto percepire anche la profondità di legami che travalicano le persone e si radicano in Cristo. Nella relazione con le persone che ho incontrato ho potuto scorgere quell’amore, quella misericordia, quel farsi vicino che è di Cristo nel rapporto con i suoi discepoli. In questi anni, poi, ho incontrato persone che mi hanno posto tante domande, tanti interrogativi sulla mia vocazione. Devo dire, però, che tutte le persone che ho incontrato mi hanno incoraggiato ad andare avanti nel mio percorso.

Insieme a quella per l’arte che ancora ti accompagna, coltivi altre passioni?

Sì, quella per l’arte è una passione che mi porto appresso dagli anni della scuola, e coltivo nei ritagli di tempo libero, quando cerco anche di dare libero sfogo alla mia vena creativa... anche se non sempre i risultati sono apprezzabili! Accanto a questa coltivo, poi, qualche passione sportiva, in particolare quelle per la bicicletta e per il nuoto. Quest’ultima è una disciplina che negli anni ho praticato anche a livello agonistico.

Nello sport si può incontrare Cristo?

Sì, sono convinto di sì. Lo puoi incontrare nel momento della fatica, quando hai bisogno di essere aiutato, della presenza di qualcuno che ti sproni, che ti incoraggi e ti dia la forza per proseguire quando la fatica sembra diventare un severo ostacolo. Un altro momento della pratica sportiva in cui è facile percepire la presenza del Signore è quando si vive la dimensione della squadra in cui è necessario fidarsi ciecamente nell’altro per proseguire, per raggiungere i traguardi prefissati.

C’è un passo delle Scritture a cui ti senti particolarmente legato?

Sì, in questi anni mi è sempre stato di conforto il salmo 119 “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”. Ho cercato di mettere la Parola e la preghiera al primo posto della mia giornata.

Ricordavi prima l’importanza del servizio svolto nelle comunità parrocchiali durante gli anni del Seminario. Quali sono state?

Nel corso del secondo anno di teologia ho svolto servizio nelle parrocchie di Breno, Astrio e Pescarzo. In terza ho svolto il mio servizio pastorale nei fine settimana nella comunità parrocchiale di Cellatica. Dopo l’accolitato ho svolto il servizio di animatore vocazionale per il Seminario girando in tante parrocchie della diocesi. Nell’anno della quinta teologia, poi, sono stato a Castenedolo. Nell’anno del diaconato appena trascorso ho prestato servizio a Brescia, nelle parrocchie di San Giacinto e del Beato Palazzolo.

MASSIMO VENTURELLI 10 set 2020 09:00