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Brescia
di MASSIMO VENTURELLI 27 gen 2020 08:19

Futuro prossimo nelle mani dei giovani

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Sabato scorso al teatro Santa Giulia del Villaggio Prealpino la consegna delle nuove linee di pastorale giovanile vocazionale. Ne parliamo con don Giovanni Milesi, direttore dell’Ufficio per i giovani, gli oratori e la pastorale giovanile

Il “Futuro prossimo” adesso è dei giovani. Sabato, nella sala della comunità Santa Giulia del Villaggio Prealpino a Brescia, il vescovo Tremolada ha consegnato ai giovani della diocesi le nuove linee di pastorale giovanile vocazionale. Si è così concluso così un percorso avviato con la preparazione del Sinodo dei vescovi sui giovani e che si è fatto ancora più spedito con il suo arrivo a Brescia, l’8 ottobre 2017. Sin da subito il vescovo ha “certificato” che la più volte ribadita attenzione alle giovani generazioni non era una semplice dichiarazione di “inizio mandato”, ma una vera e propria preoccupazione pastorale che, con il tempo, si è concretizzata nel cammino che ha portato alla definizione di un nuovo progetto di pastorale giovanile, a tre decenni di distanza dal precedente, che porta la data del 1990. Ne parliamo con don Giovanni Milesi, direttore dell’Ufficio per i giovani, gli oratori e la pastorale giovanile.

La Chiesa bresciana ha messo mano a nuove linee di pastorale giovanile. Quali le ragioni dietro a questa scelta?

La grande e giustificata attenzione che la Chiesa bresciana in anni recenti ha data alla dimensione catechistica con la definizione del nuovo progetto di iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, ha fatto passare in secondo piano la necessita di un ripensamento della pastorale che tenesse conto del cambiamento in atto nel mondo dei giovani. Il loro progressivo ma inesorabile allontanamento dalla Chiesa, la difficoltà del dialogo, dell’ascolto e dell’incontro erano temi che non potevano più essere elusi. Con l’indizione del Sinodo dei vescovi sui giovani, prima, e la stesura della Christus Vivit poi, anche papa Francesco ha sottolineato a livello planetario l’urgenza e l’improrogabilità di nuova riflessione. Così anche Brescia ha deciso di mettersi gioco. In vista del sinodo i giovani sono stati ascoltati e ci hanno detto che non siamo stati in grado per troppo tempo di cogliere il loro grido silenzioso, il loro progressivo distacco. “Futuro prossimo”, il titolo dato alle nuove linee di pastorale giovanile vocazionale è il frutto di questa piccola e profonda storia.

Quali sono la novità del progetto che avete presentato ieri?

Una delle novità di queste linee è sicuramente quella del taglio con cui il mondo giovanile è stato accostato. I giovani non sono un problema, ma sono parte di quella Chiesa che, come ricorda papa Francesco, chiede loro aiuto per dire la fede ai coetanei. In questa prospettiva, assunta anche dalle linee, i giovani diventano risorsa. Credo che oggi i giovani ci aiutino essere cristiani, obbligano il mondo degli adulti a dire la loro fede in maniera nuova, autentica perché non accettano scorciatoie o mistificazioni. Le linee sono costruite intorno un nucleo tematico che il Vescovo ha condensato in tre azioni: accostare, accompagnare e discernere.

Come si è sviluppato l’ascolto dei giovani?

Come equipe di pastorale giovanile avevamo immaginato una serie di azioni. Già nel corso del primo incontro, nel novembre 2017 a cui, con il Vescovo, parteciparono quasi un centinaio di giovani, venne posta loro la domanda sulle modalità migliori per questo ascolto. Con nostra grande sorpresa ci dissero che non credevano nell’efficacia dei grandi raduni o dell’uso di Facebook e degli altri social. Per parlare di fede ritenevano necessario l’incontro individuale, la relazione interpersonale. Ed è su questi binari che l’ascolto ha preso forma: i giovani hanno incontrato e ascoltato altri giovani.

“Futuro prossimo” ha per sottotitolo “linee di pastorale giovanile vocazionale”. Perché l’introduzione di questo ultimo aggettivo?

Ancora prima del sinodo dei vescovi sui giovani che di fatto ha iniziato a parlare di pastorale giovanile in chiave vocazionale, Brescia aveva operato questa svolta, creando un unico ufficio che mettesse insieme quello per la pastorale giovanile e quello per le vocazioni. Non era una semplice questione organizzativa, ma una scelta che prendeva le mosse dalla presa di coscienza che le due dimensioni non potevano essere disgiunte, perché intimamente legate l’una all’altra. Una scelta che poteva sembrare azzardata, ma che ha trovato poi una sua piacevole conferma nel cammino di preparazione del sinodo per i giovani.

Non c’è però il rischio che l’uso di questo aggettivo possa spaventare i giovani?

Sì, il rischio c’è e sono stati gli stessi giovani a farlo notare. Siamo in presenza di un problema di linguaggio. Per questo abbiamo pensato anche ad alcune mediazioni, come video e altri strumenti, per superare effettive criticità di un linguaggio che ancora ci appartiene. Dire in poche parole cosa significa l’aggettivo vocazionale è ancora una bella sfida.

MASSIMO VENTURELLI 27 gen 2020 08:19