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di LUCIANO ZANARDINI 04 mag 2017 09:05

Guardiamo a ciò che ci unisce

Padre Gabriele Bentoglio, nuovo direttore dell’Ufficio per i migranti e del Centro Migranti, racconta cosa significa oggi accogliere l’altro anche a Brescia e quali sono le sfide che tutte le comunità sono chiamate ad affrontare

La nostra Diocesi nel corso degli anni ha manifestato varie forme di apertura e di disponibilità e continua ad essere attenta e attiva verso coloro che giungono da altri Paesi e hanno bisogno di particolare assistenza. All’Ufficio diocesano per i migranti e al Centro Migranti (il braccio operativo), in sostituzione di padre Mario Toffari, da alcune settimane opera padre Gabriele Bentoglio, scalabriniano. Ordinato sacerdote nel 1989, ha svolto alcune attività all’interno della Congregazione prima di andare sette anni in Inghilterra dove si è occupato delle comunità italiana e dell’insegnamento (ha un dottorato in teologia biblica). Tornato in Italia, ha proseguito l’attività accademica e, dal 2005, ha incominciato a lavorare nella Santa Sede al Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti. Nel 2010 Benedetto XVI l’ha nominato sottosegretario del Consiglio, che, il 1° gennaio 2017, è stato di fatto cancellato con la creazione del nuovo Dicastero per il servizio dello sviluppo umano e integrale.

Padre Gabriele, qual è nello specifico la sua attività a Brescia?

Oltre a seguire l’attività del Centro (dal servizio di ascolto all’assistenza nella regolarizzazione delle pratiche o della sopravvivenza stessa), accompagno la comunità dei filippini che si raduna ogni domenica nella chiesa di San Faustino, la comunità latino-americana e la comunità nigeriana che si ritrovano in diverse zone della Diocesi per una celebrazione liturgica o per un momento di festa. Il problema dell’immigrazione non è tanto l’arrivo su un territorio, che ha le sue difficoltà (la lingua, i costumi e le tradizioni diverse), ma il problema grosso è dato dall’integrazione: bisogna conoscere bene la storia, la struttura e la radice culturale. Il nostro lavoro missionario deve aiutare le persone perché abbiano la possibilità di integrarsi con uno scambio che sia proficuo, cioè che non metta sullo stesso piano il migrante e la questione della sicurezza e della delinquenza. Ne abbiamo esperienza anche con l’immigrazione storica italiana di fine Ottocento e inizio Novecento: i flussi di italiani all’estero hanno vissuto la realtà catapultata oggi in Italia da questi flussi (non massicci come l’opinione pubblica vuole farci credere) di una certa importanza. C’è bisogno di accogliere, perché scappano da realtà difficili, se non addirittura di guerra e di persecuzione. Lo dobbiamo alla grande tradizione cristiana e alla memoria storica delle nostre emigrazioni. Ma c’è soprattutto un discorso relativo allo scambio di valori, perché ogni persona ha una sua dignità e ha dei valori da comunicare. Saperli scoprire permette di creare un mondo diverso, dove la cultura e il vivere insieme permettono la creazione di un mondo molto più ricco e variegato che non è quello a cui siamo stati abituati. Il mondo è più piccolo. La facilità degli spostamenti rende le persone molto più vicine. Tocca a noi fare in modo che questa vicinanza tra le persone crei un mondo diverso altrimenti corriamo il rischio di vivere in un mondo in conflitto dove la sicurezza prende il primo posto, la paura e il sospetto impediscono l’incontro e creano, come paventato da Bauman, lo scontro tra civiltà.

Al di là dei servizi portati avanti dal Centro Migranti, c’è un aspetto sul quale bisogna lavorare: la formazione all’interno delle comunità. Troppo spesso assistiamo a operatori pastorali che, sull’accoglienza, hanno idee un po’ confuse...

La formazione è uno degli aspetti fondamentali. La paura è un aspetto normale. Si pensi all’incontro con una persona che non capisco perché parla una lingua diversa o ha un modo diverso di vestirsi e di prendere il cibo... Tutto questo può creare una barriera e a volte anche dei muri quando vediamo nell’altro solo una persona che crea sospetto, cioè che viene a infrangere il normale percorso della nostra vita. Affrontato con realismo il problema del sospetto, la comunità cristiana, in particolare gli operatori pastorali, deve rendersi conto di quanto le persone con la loro diversità possono essere un arricchimento: questo si fa con la formazione.

Tutto quello che non conosciamo, quindi anche l’altro, ci preoccupa... Come uscirne?

Va affrontato con realismo il momento normale della diffidenza, la comunità cristiana ha un compito grande, in particolare gli operatori pastorali: dobbiamo renderci conto di quanto le persone proprio per la loro diversità linguistica e culturale possano essere un arricchimento. Questo si fa con la formazione, con l’incontro tra le persone, un incontro facilitato da momenti quotidiani (la festa, il condividere il cibo…). Queste occasioni aiutano a fare in modo che la paura e il sospetto diminuiscano e lascino il posto alla valutazione di quanto c’è di positivo e di bello nell’altro. È un cammino difficile, che non è immediato e richiede una maturazione. A noi cristiani offre la possibilità di approfondire quello che un tempo ci veniva dato dal catechismo e oggi abbiamo dimenticato. Pensiamo alle pagine belle del Vangelo dove Gesù incontra molte persone anche straniere e fa miracoli per persone che non sono del popolo di Israele: salva semplicemente vite umane. Ecco è questa l’importanza che il cristiano dovrebbe cogliere quando incontra una persona diversa: con la sua disponibilità, con il poco o il tanto che può dare, può essere una speranza per chi la speranza l’ha perduta. Oggi i richiedenti asilo rappresentano un fenomeno tragicamente in aumento, ma pensiamo alle storie tragiche che hanno alle loro spalle. Quando arrivano, se trovano una mano tesa capace di vincere l’indifferenza è già un primo passo verso l’accoglienza. So bene che ci sono delle difficoltà (lavoro, economia, welfare) che si vincono insieme sapendo quanto è importante partire dalla dignità umana e dalla solidarietà: sono valori che il cristianesimo da secoli instilla nelle sue radici europee e in tutto il mondo. Anche con le altre religioni possiamo condividere lo sforzo di incontro nella carità reciproca, nel soccorrerci l’un l’altro, nel tendere la mano a chi ha più bisogno di un aiuto.

Il fenomeno migratorio è incontrovertibile. Anzi è accentuato dallo sfruttamento delle risorse perpetrato dal Nord del mondo ai danni del cosiddetto Sud. Di fronte a questo scenario che spinge migliaia di persone a scappare dal loro Paese, nelle scorse settimane sono state criticate le Ong attive nelle azioni di soccorso in mare...

Mi dispiace questa ombra gettata sulle Ong. Chi ha lavorato nell’attività di soccorso sta svolgendo una grande opera e ha salvato tante vite. Dobbiamo agire con prudenza. Il compito dell’approfondimento spetta alla magistratura. Per esperienza personale, posso dire che moltissime Ong lavorano veramente bene. Fino ad oggi sono state fatte grandi cose con un servizio encomiabile che ha permesso di salvare molte vite e può continuare a salvarne molte altre e a offrire un futuro migliore rispetto a quello che avevano nel territorio di origine. Sono addolorato di fronte ad accuse tese a recuperare qualche voto politico o ad alimentare una forma di populismo.

Tra i primi appuntamenti, c’è la Festa dei Popoli del 14 maggio che permette alle diverse comunità che vivono a Brescia di incontrarsi e di presentarsi...

È una giornata varia dove c’è l’elemento religioso ma c’è anche l’elemento dell’incontro e della festa non confessionale. Lanciamo un bel segnale alla società: è importante incontrarsi e valutare, parafrasando San Giovanni XXIII prima del Concilio, più quello che ci unisce di quello che ci divide. Si dà la possibilità alle persone di incontrarsi, di avere la possibilità di apprezzarsi in un clima di fraternità. Certo questa giornata non risolverà i problemi dell’immigrazione, non risolverà i problemi dell’irregolarità e di norme non sempre chiare e percorribili, ma sarà un aiuto anche per la nostra comunità politica ad avere uno sguardo positivo su una realtà che può essere arricchente per tutti quando riusciamo a incontrarci in un modo semplice e festoso. Ci si accoglie per i reciproci valori.

LUCIANO ZANARDINI 04 mag 2017 09:05