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Brescia
di MASSIMO VENTURELLI 30 giu 2017 12:01 Ultimo aggiornamento 29 giu 2017 12:01

Il vescovo, un uomo espropriato e libero

Mons. Marco Busca, da Mantova, in occasione dell’ordinazione episcopale di mons. Ovidio Vezzoli, riflette sul significato dell’episcopato oggi

È fissata per le 16 di domenica 2 luglio in Cattedrale l’ordinazione episcopale di mons. Ovidio Vezzoli che lo scorso marzo papa Francesco ha scelto come nuovo vescovo di Fidenza, un altro dono grande, come ebbe modo di sottolineare il vescovo Monari in occasione dell’annuncio della nomina, della Chiesa bresciana a quella universale. Un grande dono che porta con sé anche una grande responsabilità, oltre che una capacità di affidarsi completamente al Signore. Sono aspetti dell’episcopato che ha imparato a conoscere (per altro del tutto simili a quelli collegati al presbiterato e a ogni altra scelta vocazionale) che ben conosce mons. Marco Busca, da meno di un anno chiamato alla guida della diocesi di Mantova.

Lei è Vescovo da quasi un anno. Cosa significa essere Vescovo oggi?

Se è vero che la vita di un prete è una vita “espropriata” – nel senso che è interamente dedicata al servizio di una comunità in termini di tempo, di investimento di tutte le energie di mente, di cuore, di operatività – per un vescovo questo è ancor più vero. Basti ricordare quelle nove domande rivolte all’eletto durante la liturgia di ordinazione che mettono in fila tutti gli impegni che sta per assumersi: predicare il Vangelo, custodire la fede della chiesa, obbedire al Papa, curare il popolo di Dio con amore di padre, sempre accogliente verso poveri e bisognosi, andare a cercare le pecore smarrite, pregare senza mai stancarsi per il popolo santo… e tutto questo è da adempiere fino alla morte! Visto il compito devo confessare che da un anno a questa parte ho ingaggiato una lotta quotidiana ancor più energica contro i difetti della mia personalità che potrebbero rendermi meno accessibile a tutti quelli che hanno bisogno di me. Dicendo che il vescovo è un uomo espropriato intendo dire che entra nel ministero con tutto sé stesso e vi resta dentro con cuore integro. Tutto faccio per il Vangelo, dice san Paolo, e in effetti non c’è tempo per altro! Lei mi chiedeva non solo cosa significa essere vescovo ma cosa significa esserlo adesso. Oggi non va data per scontata l’esperienza di fede dei battezzati. Azzardo – visto che sto ancora imparando a fare il mio mestiere! – nel dire che un Vescovo oggi (da vero credente che scruta i cammini di Dio e forte del carisma ricevuto) esercita il suo ministero di guida soprattutto indicando una “visione teologico-spirituale e pastorale” sulla quale chiama la chiesa locale a convergere. Per far questo gli è chiesto di essere un uomo libero dalle logiche organizzative che poco hanno a che fare con la vita autentica della Chiesa e aperto al nuovo che lo Spirito suggerisce per dare una fisionomia concreta alla comunione tra i credenti.

Esserlo nella Chiesa di papa Francesco: più un onore o un onere?

È il papa a scegliere i vescovi e per sceglierli indicherà, presumibilmente, dei criteri di massima. Essere scelti da un altro è una certezza consolante per chi è chiamato ad assumere l’onere di questo servizio. Nella Chiesa non c’è altro onore fuori dal servizio; è la parola autorevole di Gesù a dirlo: “Se uno serve me, il Padre lo onorerà” (Gv 12,26). Se la sua domanda allude al fatto che papa Francesco, vescovo di Roma, è il modello di vescovo cui ispirarsi e da seguire – e che si tratta perciò di un modello “alto” a motivo del suo programma di radicalismo evangelico e di riforma pastorale della Chiesa – concordo con lei. Ma più che dibattermi tra l’onore di essere stato chiamato a far parte del collegio episcopale sotto il pontificato di Francesco e l’onere di dovermi confrontare con il suo esempio, è il suo magistero e ministero che rappresenta per l’episcopato una direzione precisa di pensiero e di azione. Papa Francesco ha dato alla chiesa italiana un impegno concreto quando al convegno nazionale di Firenze ha chiesto di tradurre nelle Chiese locali la “visione” ecclesiologica e pastorale contenuta nella Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni.

Le figure di vescovi che ha incontrato nel corso della sua vita le sono state di aiuto in questo primo anno di episcopato a Mantova?

L’estate scorsa ho pensato che i mesi precedenti all’ordinazione potevano rappresentare per me una sorta di “noviziato episcopale”. La chiesa ha sempre privilegiato il modello formativo del discepolato: per essere introdotto con efficacia all’esercizio di un’arte spirituale e pastorale, il giovane non interpella subito i libri ma gli “anziani” che prima di lui hanno a lungo vissuto l’esperienza in cui sta per entrare. Così ho chiesto udienza ad alcuni vescovi sperimentati e ho rivolto loro domande e chiesto consigli (quali sono le priorità di un vescovo, cosa deve fare, cosa evitare, suggerimenti vari per il primo periodo in diocesi). Furono dei dialoghi molto costruttivi e in parecchie circostanze, nei mesi successivi, mi sono tornate alla mente alcune parole lapidarie che quei vescovi veterani avevano estratto dal deposito della loro sapienza. Devo anche aggiungere che mi è giovato leggere alcuni scritti di vescovi che raccontavano la loro esperienza, come pure ricordare alcune figure a me care, come quella del vescovo edolese mons. Pietro Gazzoli.

Il Vescovo diventa per la sua diocesi e per il territorio un punto di riferimento. Come vive questa responsabilità?

La parte preponderante del ministero del vescovo sono le relazioni e i contatti. Ho cercato di personalizzare il più possibile il mio servizio, anche negli aspetti istituzionali che gli sono propri. Mi ha impressionato, sin dai primi mesi, come tantissime realtà (gruppi, associazioni, istituzioni pubbliche) chiedano l’attenzione del vescovo, desiderino incontrarlo e non per pura formalità. Quando recentemente alcuni giovani mi hanno chiesto qual è la fatica più grande che faccio ho risposto senza pensarci troppo: trovare un po’ di tempo per tutti quelli che me lo chiedono. Sicuramente la visita pastorale alle comunità cristiane è il mezzo privilegiato per l’incontro con le persone: dai bambini agli anziani, tutti attendono dal vescovo una stretta di mano, una parola detta a tu per tu, un po’ di tempo dedicato ad ascoltarli. La venuta del vescovo è un’occasione per radunare la comunità, specie le più piccole in cui quel giorno si fan vivi proprio tutti! Il ministero del vescovo è incontrare e far incontrare, chiaramente nel Signore. Sin dal giorno dell’elezione, il vescovo percepisce di essere un “uomo pubblico”: non solo ti arrivano i saluti e le felicitazioni di amici e parrocchiani, ma anche il telegramma del presidente della Repubblica, del prefetto, del questore, dei sindaci, dei responsabili delle associazioni che sono sul territorio e così via. Ho notato che la parola detta dal vescovo ha un peso particolare, anche quella detta nei contesti civili. In alcune circostanze è bene essere presenti, con uno stile di rispetto e di partecipazione cordiale a tutte le iniziative che promuovono i valori della cittadinanza e della solidarietà. Qualche discorso ufficiale e più impegnativo su tematiche di attualità è pure apprezzato: alcuni amministratori locali hanno ringraziato e mi hanno chiesto di continuare a sollecitarli a “pensare”.

Un altro insegnante del Seminario di Brescia si appresta a diventare vescovo. C’è un augurio particolare che vuole indirizzare a don Ovidio Vezzoli?

Lo scorso 16 settembre Papa Francesco ha rivolto ai nuovi vescovi l’invito a non smarrire la memoria del “brivido” avvertito quando è giunta la chiamata del Signore attraverso la voce della Chiesa: “Dio vi scampi dal rendere vano tale brivido, dall’addomesticarlo e svuotarlo della sua potenza destabilizzante”. Se per un verso destabilizza perché fa sentire ai vescovi la loro inadeguatezza rispetto alla chiamata, dall’altro questo santo brivido dà “la certezza che non sono abbandonati alle loro forze”. Il nuovo vescovo di Fidenza è un uomo operoso e che si gioca sull’essenziale come lui stesso ha indicato scegliendo come motto episcopale: “Unum est necessarium”. Auguro a don Ovidio di trovare nell’unico Signore la certezza che darà stabilità alla sua persona e al gregge che il Signore gli ha caricato sulle spalle.

MASSIMO VENTURELLI 30 giu 2017 12:01 Ultimo aggiornamento 29 giu 2017 12:01