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Manerbio
di LUCIANO ZANARDINI 09 giu 2017 09:50

L'ambiente, la missione e il bene comune

Classe 1976, don Alessandro Laffranchi, dopo la laurea in Scienze Geologiche, risponde a un’inquietudine del cuore e decide di mettere a disposizione i suoi talenti per qualcosa di più grande

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Don Alessandro Laffranchi sa cosa vuol dire il dono della riconoscenza, sa cosa vuol dire avere delle opportunità che ad altri non sempre sono concesse. È cresciuto nella Bassa bresciana, ma ha lo sguardo del cittadino del mondo, del missionario che ha calpestato terre lontane e ha respirato culture diverse. Dentro di lui si muove anche la chiamata al sacerdozio accresciuta e valorizzata dalla conoscenza del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere). La sua missione oggi è qui, ma non cambia la sostanza. Cerca di portare Dio agli uomini con il suo stile e con il suo modo di fare affabile. E il pregresso (la laurea in Scienze Geologiche) è un motivo in più per parlare al cuore dell’uomo, per intercettare i suoi bisogni. “Mi accorgo di essere stato fortunato nella vita. Ho avuto la possibilità di studiare e di portare avanti le mie passioni. Negli ultimi anni dell’Università c’era una domanda che mi assillava: ‘Perché non mettere a disposizione tutto quello che ho ricevuto per un bene comune e non per un bene personale?’”. Don Alessandro Laffranchi ha una vocazione adulta nata negli anni dell’Università. “Ho avuto – confida – un percorso non dissimile da quello di tanti giovani. Dopo la cresima avevo perso l’interesse per la Chiesa. La vocazione è maturata più tardi quando mi sono accorto di aver trascurato qualcosa di importante”. Diplomato in Chimica presso l’Itis Torriani di Cremona, prosegue gli studi presso l’Università degli Studi di Parma, dove si laurea in Scienze Geologiche. Gli interessi si sono in seguito orientati verso i Paesi a scarse risorse attraverso dei corsi di perfezionamento in tematiche riguardanti la progettazione per lo sviluppo e gli interventi umanitari. Questo percorso, unito a un cammino parallelo di fede, l’ha portato a interrogarsi sulla propria vocazione e a vivere delle esperienze missionarie presso alcune missioni del Pime, in Bangladesh e in Costa d’Avorio. Dopo aver trascorso un primo importante periodo formativo nel Pime, conclude la sua formazione presso il Seminario diocesano di Brescia, dove decide di donare la sua vita a servizio della Chiesa come sacerdote diocesano. In questi ultimi due anni ha svolto le esperienze pastorali presso le parrocchie di Molinetto di Mazzano e di Cristo Re a Brescia oltre a un servizio scolastico come docente di religione. Non mancano ovviamente i timori per il 41enne (ad agosto) manerbiese che conta, però, su un valido appoggio: “La certezza di essere accompagnato dal Signore mi spinge ad andare avanti. Un sì definitivo non è semplice da dire a nessuna età. Per me è abbastanza necessario avvertire che il Signore si aspetta da me soltanto il bene. Un po’ di preoccupazione può permanere quando si pensa alla definitività, ma finora non è mi è mai mancata la forza”. Molto ha appreso dall’incontro con un sacerdote “semplice e umile”, un parroco di un piccolo paese sull’Appennino conosciuto proprio durante uno stage universitario. “Mi ha permesso di entrare in un mondo verso il quale mi sentivo in ricerca ma che non avevo mai avuto modo di approfondire. Grazie a lui ho deciso di abbracciare questa nuova ricerca della dimensione spirituale e di abbracciarla anche con scelte concrete”.

La missione. Don Alessandro si è “misurato” anche in due esperienze in terra di missione. “Diversi mesi in Costa D’Avorio e un’estate in Bangladesh non sono tempi lunghi ma sono stati sufficienti per cogliere la bellezza della missione. Sono davvero legato alla missione perché lì è passato anche il mio discernimento”. E di questi periodi ci sono ancora delle tracce indelebili. “Sì, penso alla semplicità di vita. Ho visto da vicino la gioia e la voglia di vivere là dove non ci sono le tante cose che qui cerchiamo in continuazione… e questo mi ha aiutato e potrebbe aiutare tutti a cercare il proprio centro in qualcosa o in qualcuno di più significativo”. I frutti della missione sono evidenti negli occhi di don Alessandro. “È un ricordo che mi accompagna e che, spero, possa portare un punto di vista differente nelle esperienze che dovrò affrontare. Certamente colpisce vedere la Chiesa locale che va avanti senza grandi risorse. Questo ci permette di ridimensionare e semplificare le idee che spesso abbiamo nei nostri contesti pastorali”.

La cura del creato. Dalla biologia alla cura della casa comune. Forse non è facile collegare immediatamente la sua formazione universitaria con la Laudato Si’, ma anche don Alessandro osserva “l’importanza di valorizzare il percorso di ricerca dell’uomo in tutti gli aspetti. In particolare, il tema dell’ecologia, della nostra casa da custodire e valorizzare, è molto importante. Nell’Enciclica il Papa rilegge i racconti biblici e dà una visione complessiva della tradizione ebraico-cristiana spiegando il perché della “tremenda responsabilità” dell’essere umano nei confronti del creato. L’essere umano ha il compito di “coltivare e custodire” il giardino del mondo come scrive la Genesi, sapendo che “lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio”. Gli studi continuano come interesse e come passione. “Vedere che la Chiesa e il Papa considerano importante la tematica ambientale è motivo di incoraggiamento. Il coniugare queste cose non è mai semplice. Questa attenzione della Chiesa con la Laudato Si’ valorizza la ricerca dell’uomo sulle tematiche ambientali per renderlo custode di ciò che lo circonda. Anche nella gente lontana può nascere un’empatia. Questa è una conferma che la ricerca dell’uomo si incrocia in tutti gli ambiti con la ricerca della Chiesa”.

I modelli di santità. Se la vita della Chiesa è costellata di Santi, il sacerdote del 1976 ricorda in particolare la figura del Santo Curato d’Ars (1786-1859) che ha conosciuto attraverso il padre spirituale: “Un esempio di semplicità, di umiltà e di dedizione per la Chiesa e per la gente. È un punto di riferimento”. Non dimentichiamo che San Giovanni Maria Vianney, proclamato santo nel 1925 da Pio XII, è indicato come modello e patrono del clero parrocchiale. Per oltre 40 anni guidò in modo mirabile la parrocchia a lui affidata nel villaggio di Ars vicino a Belley in Francia, con l’assidua predicazione, la preghiera e una vita di penitenza. Ogni giorno nella catechesi che impartiva a bambini e adulti, nella riconciliazione che amministrava ai penitenti e nelle opere pervase di quell’ardente carità, che egli attingeva dalla santa Eucaristia come da una fonte, avanzò a tal punto da diffondere in ogni dove il suo consiglio e avvicinare saggiamente tanti a Dio. Non si risparmiò, fece della sua vita un dono per gli altri. “Ricordo anche le figure dei religiosi che aprivano le missioni in Oriente attraverso tante difficoltà ma anche attraverso la concretezza e il farsi vicini alla gente, attraverso la condivisione della quotidianità e della cultura locale. Penso, ad esempio, a Matteo Ricci (1552-1610)”, il gesuita che non ha portato in Europa i tesori dell’Oriente, ma ha regalato alla Cina la cultura dell’Occidente: astronomo e teologo, studente di diritto e matematico, missionario e diplomatico, scienziato e sinologo. La missione apostolica di Ricci va inquadrata in quella della Compagnia di Gesù nell’Estremo Oriente, iniziata da Francesco Saverio che fu il fondatore e organizzatore di tutte le missioni dell’Est asiatico. Grazie alla testimonianza di missionari come Ricci, “il Vangelo, anche in maniera silenziosa, è entrato nel cuore delle persone e germinasse. Questa storia – conclude – ci colpisce e rende testimonianza di una presenza, quella del Signore, che ci precede in ogni situazione”.

LUCIANO ZANARDINI 09 giu 2017 09:50