La spelonca del parroco (1622)

La descrizione di questo parroco circa gli edifici di proprietà della parrocchia di Mompiano, ci fornisce uno spaccato molto realistico della vita quotidiana del tempo e ci ricorda come noi, abituati a ogni comodità, facciamo fatica ad immaginare le condizioni in cui si viveva qualche secolo fa. Il parroco infatti dichiara che quando entrò in possesso della parrocchia, la situazione era abbastanza disastrata: la casa era completamente vuota e senza “utensili”, porte e finestre messi male, nella stalla nemmeno la mangiatoia e l’albio, vale a dire l’abbeveratoio per gli animali; nessuna chiusura né utensile nemmeno per il forno. Insomma, taglia corto il parroco, “per brevità basta dire che era detta casa a similitudine d’una spelonca”. Conclude dicendo che ha raccontato tutto questo perché i sacerdoti che gli succederanno possano rendersi conto delle migliorie da lui praticate e possano rendere “all’Eterno Facitore” grazie, e a lui, qualche preghiera.

Se quella del parroco ai tempi era una spelonca, allora le dimore dei suoi parrocchiani dovevano essere dei porcili. È notorio, infatti, che i parroci hanno avuto sempre un tenore di vita molto più agiato rispetto alla plebe analfabeta e sfruttata. Oggigiorno ancora di più (mille euro netti garantiti sempre, esenti da affitto o rata mutuo, e senza carichi familiari).