lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Brescia
di MASSIMO VENTURELLI 04 ott 2017 08:37

Mons. Pierantonio, ti vogliamo già bene

Sono la conoscenza e l’approfondimento della Sacra Scrittura gli orizzonti che guidano il pastore che papa Francesco ha donato a Brescia. Domenica 8 ottobre, con l’ingresso in diocesi, l’avvio ufficiale del suo episcopato

Dal 12 luglio scorso, giorno in cui è stato dato l’annuncio che papa Francesco aveva scelto il successore di mons. Luciano Monari, la conoscenza di mons. Pierantonio Tremolada si è fatta sempre più profonda. Del nuovo vescovo si sa ormai molto. La sua biografia, già pubblicata anche sul sito della diocesi, ha trovato spazio su tutti i media, compresi i giornali delle comunità che molte parrocchie hanno dato alle stampe per l’occasione. Molto è stato anche scritto e anticipato su alcune delle questioni che intende porre tra le priorità del suo episcopato a Brescia, che prende il via domenica 8 ottobre. “Voce” lo ha incontrato nelle scorse settimane e nella lunga intervista mons. Tremolada ha avuto modo di approfondire alcuni dei temi dallo stesso indicati come importanti, a partire dalla conoscenza della Chiesa che gli è stata affidata, la passione per la Parola, le difficoltà che stanno conoscendo i preti, il loro rapporto con il vescovo, l’attenzione ai giovani e ai più deboli.

La conoscenza della Chiesa Nel percorso di conoscenza della Chiesa bresciana che lei ha avviato dal momento della sua nomina, c’è qualche aspetto che più di altri l’ha incuriosita o ha catturato la sua attenzione?

Ancora prima di incontrarla, di entrare in rapporto con le persone, ho cercato di approfondire la mia conoscenza della Diocesi di Brescia. L’annuario che mi è stato donato il giorno stesso dell’annuncio della mia nomina è diventato per me uno strumento preziosissimo per cercare di farmi una prima idea dell’ambiente di vita delle persone e della Chiesa bresciana nel suo insieme. La cosa che mi ha colpito sin da subito è stata la varietà della diocesi, del suo ambiente di vita. Mi pare si tratti di una sua caratteristica significativa. Un territorio tanto vario incide sulla vita delle persone? È una domanda che sta suscitando la mia curiosità. Vorrei capire quali sono le forme di vita in contesti territoriali tanto diversi. La fede che si incarna ha sempre trovato e continua a trovare forme diverse di espressione negli ambiti territoriali ricordati. Ancora mi ha colpito la vivacità delle realtà costitutive di questa Chiesa: fondazioni, enti, realtà di volontariato che con intelligenza si stanno impegnando anche in tanti ambiti del civile in nome della loro fede. Questa è l’impressione che ad oggi ho maturato, ma sono anche gli aspetti che sin da subito mi hanno colpito.

La passione per la Parola la accomuna al vescovo Luciano. C’è nella sua storia un evento, un incontro particolare, una persona che ha fatto scoccare questo interesse?

Faccio fatica a individuare un momento, un incontro, una persona a cui attribuire la nascita in me di questa passione. Come capita per tutte le passioni, anche la mia per la Parola ha avuto uno sviluppo progressivo. È una passione che ho sempre avvertita in me. Nel corso della vita mi sono trovato nelle condizioni di poterla approfondire grazie a decisioni che altri hanno assunto nei miei riguardi. Mi è stata offerta un’opportunità che non so definire se non in termini di una grande grazia, di studiare in maniera scientifica e anche critica le Sacre Scritture. Una grazia che non posso che ricondurre essenzialmente al card. Martini, il vescovo che mi ha ordinato sacerdote, e che, con il suo esempio, ha instillato a tante altre persone questo amore per la Scrittura. Affrontare lo studio della Parola è stato un po’ come scalare una montagna: costa fatica, si intuisce lungo il cammino che c’è qualcosa di bello, ma lo stupore lo si prova soltanto quando si raggiunge la vetta e ci si trova davanti a visuali che tolgono il respiro. Ad accrescere ulteriormente la passione per la Parola c’è stata, sin da subito, la consapevolezza del suo rapporto con la vita. È abbastanza diffusa la convinzione che chi studia la Parola fa poi fatica a comprendere la realtà. La mia esperienza mi consente di poter affermare che un vero approfondimento della Parola è condizione essenziale per comprendere nel profondo la realtà, perché in quella Parola che ci è stata consegnata e che può sembrare abbastanza fredda, si trova la chiave per entrare nell’esistenza. Il modo giusto per leggere le Scritture è proprio mantenerle in rapporto con ciò che si sta vivendo.

Il suo motto episcopale invita ad attingere alle sorgenti della salvezza. Far comprendere quali siano oggi le sorgenti autentiche è una delle sfide più grandi a cui la Chiesa è chiamata. Come pensa di giocarla a Brescia? La ringrazio per una domanda che mi dà modo di spiegare le ragioni che mi hanno portato a scegliere questo motto e anche il mio stemma. La parola “salvezza” ha sempre suscitato il mio interesse.

Mi sono spesso domandato se conosciamo il reale significato di questa parola. Quante volte viene usata nei nostri incontri. Ma se dovessimo chiedere a una persona quale sia il significato di questo termine, sarebbe in grado di rispondere? “Salvezza” è un termine molto caro all’evangelista Luca, di cui ho approfondito il suo vangelo, concentrandomi sulla Passione. Ho provato a lasciarmi istruire da Luca per cercare di capire cosa significasse per me questa parola. È proprio da questo percorso che arriva il mio motto. Mi sembrava, inoltre, molto bella un’immagine: fare esperienza della salvezza, al di là di tanti discorsi, significa dire qualcosa che assomigli a quello che l’uomo vive quando beve qualcosa di fresco nel pieno della calura, quando sembra essere preda di una sete che non è possibile alleviare. È in questo frangente che l’uomo sperimenta il desiderio di una fonte di acqua fresca, e quando la trova vive qualcosa di analogo a quello che dovrebbe provare quando si sente salvato. L’annuncio del Vangelo significa, allora, consentire alle persone di incontrare il mistero di Cristo che si rivela nella sua bellezza, nella sua santità, nella sua grandezza, facendo vivere all’uomo un’esperienza che è di consolazione profonda, di appagamento autentico. Ho chiesto, poi, che nel mio stemma figurassero anche due cervi che si stanno abbeverando a una fonte che scaturisce dalla croce del Signore, perché quella della salvezza è un’esperienza che occorre fare insieme, che non può essere vissuta come se fosse qualcosa di privato.

Brescia è una Chiesa importante, ancora ricca per tanti aspetti, ma non per questo al riparo da alcune sofferenze tipiche dei tempi attuali, a partire dal calo delle vocazione e del progressivo invecchiamento del clero diocesano…


Le sofferenze appena ricordate, che non sono solo della Chiesa bresciana, rappresentano uno dei fenomeni più dolorosi. Nessuno vorrebbe doversi confrontare con questo calo delle vocazioni, con il progressivo invecchiamento dei sacerdoti. Cosa dire di fronte a tutto questo? Anche qui sono convinto che sia necessario mettersi in ascolto di ciò che dice la Parola. Noi dobbiamo credere all’azione della grazia di Dio che realmente opera nel mondo. Come sacerdoti abbiamo il compito di assecondare l’azione della grazia, in modo tale che raggiunga l’obiettivo che da sempre si propone: entrare nel cuore delle persone. Per questo credo che invece di lamentarci per quello che sta accadendo dovremmo investire tutte le energie che ancora abbiamo nel dare qualità all’esperienza della nostra fede e del nostro annuncio. Dobbiamo fare in modo che tutto ciò che noi facciamo, anche come Chiesa con le sue istituzioni e strutture, contribuisca a farci percepire come servitori della Grazia, dei collaboratori della Grazia. In questa prospettiva la vera domanda diventa allora: ciascuno di noi cosa sta facendo perché la grazia possa operare attraverso di lui per il bene di tutti? Questo è il nostro compito e in questo tempo di difficoltà siamo chiamati più di prima a elevare la qualità della nostra esperienza di fede e dobbiamo elevare la qualità della nostra forma di vita di Chiesa. Sarei preoccupato se ritenessimo che la risposta a domande come questa stesse nella migliore organizzazione del tutto. Alla fine la risposta non è nelle nostre mani, ma in quelle dello Spirito Santo. Il nostro compito è farci collaboratori della Grazia, operando per la qualità della fede e dell’esperienza della vita di Chiesa.

I sacerdoti bresciani chiedono, però, di essere accompagnati in questo percorso dal loro vescovo. Come pensa di rispondere a questa attesa?

La mia intenzione è quella di conoscere il più possibile, nell’incontro personale, i sacerdoti bresciani. Mi auguro che questo possa avvenire in tempi relativamente rapidi, perché mi piacerebbe che insieme, nel dialogo, trovassimo la strada per mantenere vivo il legame costante tra il vescovo e il presbiterio. Questa è una domanda a cui non pretendo di trovare subito e da solo una risposta; mi piacerebbe, invece, che questa scaturisse dal confronto e dal dialogo con i sacerdoti, anche perché, come dicevo, la diocesi di Brescia è molto varia e immagino che l’esercizio del ministero sacerdotale risenta di questo panorama molto variegato. Credo che sia profondamente diverso esercitare il ministero nell’alta Valle Camonica piuttosto che nella Bassa o sui laghi. Avverto come importante l’esigenza che questo rapporto avvenga con modalità che consentano di riflettere insieme su quello che si sta vivendo in un determinato luogo, perché così è possibile che le domande che emergono siano più precise e le risposte trovate più convincenti. Tutto questo senza dimenticare, però, che l’aspetto più importante è però la condivisione di un’esperienza spirituale, perché prima ancora di essere vescovi e sacerdoti siamo dei credenti, dei cristiani. Le esperienze importanti che intendo condividere con i preti bresciani saranno quelle dell’ascolto della Parola di Dio, della celebrazione eucaristica, della preghiera e della fraternità, perché siamo chiamati a dare un esempio di comunione a partire dalla fede che professiamo. 


Quali sono i giovani a cui pensa quando li mette in cima alla lista delle priorità?


Penso a tutti i giovani, indistintamente, anche se non sono tutti uguali. Ci sono i giovani che per grazia hanno potuto scoprire la bellezza della fede e incontrare il Signore Gesù e quelli che tale fortuna non l’hanno sperimentata. I primi devono farsi essi stessi annunciatori presso i loro coetanei della grandezza dell’incontro che hanno sperimentato. Per questo, pur nutrendo il desiderio di incontrare e dialogare con tutto il mondo giovanile, mi piacerebbe in prima battuta avere un’occasione di confronto con quelli che hanno compiuto un cammino di fede più intenso. Non so bene come tutto questo possa realizzarsi, ma è importante stabilire un dialogo immediato con i giovani delle nostre parrocchie. Certo, qualcuno potrebbe dirmi che non si tratta di una platea particolarmente ampia… Può darsi, ma questa allora è una ragione in più per assumere questa sfida in maniera molto seria.

Solo papa Francesco e pochi altri sembrano appassionare i giovani. Il resto della Chiesa, invece, non scalda il loro cuore. Perché? Da vescovo di Brescia, pensa a qualcosa di particolare per incidere su questa situazione?


Sicuramente dobbiamo interrogarci su questa situazione. Perché papa Francesco esercita questo grande ascendente nei confronti dei giovani, perché li attira, perché riescono a riconoscersi in lui e non nei vescovi e nei preti delle loro comunità? Diventa interessante capire quali siano le ragioni di questa situazione. Per questo è per me prioritario metterci in ascolto dei giovani non, però, facendoci giovani con i giovani. . Credo che questo errore in cui spesso incappiamo sia una delle ragioni che alimenta il distacco di cui stiamo parlando. Sono convinto, invece, che i giovani ricerchino adulti credibili, affidabili. Dobbiamo studiare attentamente le condizioni di questa credibilità, di questa affidabilità, dobbiamo domandarci cosa significhi per i giovani un adulto affidabile, credibile. Dobbiamo studiare attentamente le condizioni in cui i giovani vivono, condizioni che sono state create dalle generazioni precedenti. Dobbiamo prendere molto sul serio le responsabilità che abbianmo nei confronti dei giovani e domandarci in che modo stiamo corrispondendo ai loro desideri profondi, alle loro sincere aspirazioni. Come possiamo incontrarli così come riesce mirabilmente a papa Francesco? Per questo è importante lasciarsi sospingere dalla creatività che è propria dello Spirito Santo, necessaria per pensare nuove modalità di annuncio, di dialogo e di esperienza di fede. Domandarci quale sia il compito che dobbiamo assumere perché i nostri giovani riscoprano la bellezza della fede cristiana diventa, allora, una priorità a cui dobbiamo guardare senza aver timore del cambiamento che una risposta seria potrebbe comportare, perché non possiamo negare che ci sono aspetti nella vita della Chiesa che oggi sono un po’ sclerotizzati. Se i giovani fanno esperienza dell’autenticità e della freschezza del vangelo e della fede non possono non esserne attirati, perché per loro natura vanno verso ciò che è fresco, vero e autentico. 


Una terza priorità che lei ha sottolineato è quella dell’attenzione ai più deboli, dando però di questa categoria una definizione non convenzionale. Chi sono i deboli per mons. Tremolada?


Ho usato l’espressione più deboli pensando a quello che dice papa Francesco quando parla dei poveri. Sono convinto che dobbiamo privilegiare i poveri a partire da una loro definizione corretta, perché anche la povertà ha diverse forme che chiedono di essere riconosciute. La prima è quella di cui dobbiamo subito farci carico ed è quella di chi non ha il necessario per vivere: il cibo, la casa, il lavoro… Quelli che sono condizionati da una situazione di continua emergenza che alla fine ne fa degli emarginati. Questa è una priorità e faccio fatica ad immaginare una Chiesa che non pone questa attenzione in cima alle sue priorità, perché sarebbe tradire l’essenza del vangelo che è quella di portare nel cuore dell’uomo la gioia di vivere. Quando manca il necessario per vivere questa gioia è fatalmente compromessa. Giusto che la Chiesa si interroghi sulle modalità con cui rispondere a questa priorità, senza dimenticare però che una risposta è necessaria. Davanti ai poveri la Chiesa non può voltare la testa dall’altra parte. Farsi carico di questi poveri consente anche alla Chiesa di fare esperienza di quella vita nuova che è annunciata nel Vangelo. Ci sono poi molte altre soglie di povertà che coincidono con le fragilità, le debolezze. Penso alla dimensione dell’handicap… Come Chiesa non possiamo rassegnarci all’idea che chi vive queste situazioni di difficoltà possa sentirsi mortificato nella sua dignità. Questo comporta un impegno nell’accompagnamento nei loro confronti e delle persone che si fanno carico della loro assistenza, che non è da poco. C’è poi l’esperienza della malattia… Quando ci troviamo al cospetto di persone che stanno affrontando la sfida dell’ultimo segmento della loro vita, conosciamo solo dall’esterno quello che stanno vivendo. Ma cosa conosciamo di quanto stanno provando nel loro animo? Chi si fa carico di un dialogo con loro che vada a toccare il cuore? Qui c’è una povertà che non è materiale, ma è dell’animo e che chiede veramente la presenza di qualcuno disposto ad accompagnarla dal profondo del cuore. Poi abbiamo le grandi povertà spirituali che finiscono col generare le grandi dipendenze. Sono debolezze e fragilità che più di altre sono sottoposte al giudizio e alla condanna… Se la sono cercata! Ma deve esserci qualcuno che si fa carico di essere vicino anche a questo bisogno. Mi piace sognare, anche per Brescia, una Chiesa capace di farsi carico della debolezza in tutte le sue forme, in maniera intelligente e con il contributo di tutti.


MASSIMO VENTURELLI 04 ott 2017 08:37