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Brescia
di +PIERANTONIO TREMOLADA 31 dic 2017 21:23

Te Deum: ricordiamo per ringraziare

L'omelia pronunciata dal vescovo Pierantonio Tremolada nel tradizionale “Te deum” di fine anno alla Basilica delle Grazie

Te Deum laudamus, te Domine confitemur. Al termine di questo anno, come ogni anno, ci rivolgiamo così al Signore nostro Dio: “Noi ti lodiamo, o Dio, ti proclamiamo Signore”. Sono le parole con le quali riconosciamo e attestiamo che i nostri giorni e i nostri anni scorrono alla sua presenza e nella sua potente Provvidenza. C’è una benedizione che accompagna il nostro cammino e che è ben espressa dalle parole che Aronne fu invitato a pronunciare sui figli di Israele: la liturgia ce le ha proposte nella prima lettura. Esse suonano così: “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il tuo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace” (Nm 6,22-27).

Al termine di un anno nasce spontanea la riflessione sul senso di ciò che viviamo giorno dopo giorno e su ciò che rimane di quanto abbiamo vissuto. La Parola di Dio ci insegna che c’è qualcosa nella nostra esperienza che passa e qualcosa che resta, perché il tempo degli uomini, in forza della benedizione ricevuta da Dio, è già immerso nella sua eternità: “Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35). Che cosa resta dunque di quel che è stato vissuto? Che cosa non passa?

Resta ciò che viene ricordato e merita di esserlo. Ricordare è infatti rendere presente, nella mente nel cuore, ciò che è passato e quindi vincere la tirannia del tempo, che sembra consegnare immediatamente all’oblio quanto si è vissuto. “Quel che è successo – suggerisce una voce interiore che non suona amica – ormai non esiste più. Tutto svanisce e col tempo si perde nel nulla. Questo accadrà anche a te e a tutti noi”. Il ricordo smentisce questa presuntuosa sentenza, perché mantiene vivo al presente ciò che si vorrebbe perso nel passato. Nell’ottica della fede, il ricordo attesta la valenza perenne di ciò che nell’umana esperienza già attinge all’eternità di Dio.

Vogliamo dunque ricordare davanti al Signore quanto accaduto in questo nostro anno e lodarlo per la sua misericordia provvidente. Una domanda tuttavia ci nasce nel cuore, timida ma persistente: possiamo davvero lodare il Signore per tutto quello che quest’anno è accaduto? Come possiamo lodare il Signore e celebrarne la bontà a fronte di eventi che anche quest’anno hanno provocato grande dolore?

Certo ognuno di noi, questa sera, porta nel cuore qualche buon ricordo di questo anno. Di questo è giusto essere personalmente grati al Signore. Tutti, poi dobbiamo esserlo per il tanto bene che abbiamo ricevuto, che abbiamo visto e vediamo nel mondo, o che non vediamo ma che pure è presente. Per me, questo anno che si chiude rimarrà inciso per sempre come l’anno della mia elezione a vescovo di Brescia e del mio ingresso in diocesi. Come potrò ringraziare il Signore per questa straordinaria dimostrazione di bontà e di fiducia nei miei confronti? E come potrò esprimere in modo adeguato la mia gratitudine nei confronti di una Chiesa che mi ha subito dimostrato affetto e simpatia, sincera disponibilità a compiere insieme il cammino della fede e della testimonianza cristiana? La mia lode si innalza sincera al Signore per tutto ciò che ho ricevuto.

Ma dobbiamo pur riconoscere che vi sono anche eventi che non ricordiamo volentieri, che vorremmo non fossero capitati; episodi che ancora accadono nel nostro mondo o nella nostra stessa vita personale e che profondamente ci addolorano. Come possiamo lodare Dio e proclamarlo Signore a fronte di tutto questo? Dovremo forse dimenticare tutto questo per poterlo serenamente ringraziare e benedire?

Non si può dimenticarsi del male. Non parlarne più è il miglior modo per consentire che accada di nuovo. Neppure è sufficiente rimuovere il ricordo, cioè non pensarci più. Il male ferisce e lascia il segno. Occorre piuttosto ricordare per riscattare. Ma il ricordo deve essere compiuto nel mondo giusto. Ricordare il male accaduto è infatti sempre pericoloso. Il cuore umano – indignato, addolorato e spaventato – può essere travolto da sentimenti di rabbia e di rancore, dal desiderio mortifero della vendetta, dal pensiero angosciato che tutto questo si ripeta e quindi dall’istinto di intervenire in modo violento, rispondendo al male con il male.

Penso sia giusto dire che dobbiamo ricordare non il male in quanto tale, perché questo rischierebbe di travolgerci, quanto piuttosto il dolore che il male ha provocato, affinché da questo ricordo derivi del bene. E il bene che ne deriva assumerà diverse forme: la forma della solidarietà, che porta a dire: sono vicino a chi sta soffrendo! La forma della consapevolezza e della vigilanza, che porta a dire: così non si deve fare! La forma della denuncia e della difesa degli innocenti, che porta a dire: questo è ingiusto ed è bene che lo si dica! La forma della riflessione, che porta a dire: cosa dobbiamo fare affinché non accada più? La forma del perdono, che porta a dire: non smetto di amarvi nonostante tutto!

Occorre dunque ricordare in modo non distruttivo ma costruttivo; ricordare non soltanto per non dimenticare ma soprattutto per dare speranza. E perché questo accada è necessario guadagnare il giusto punto di vista sul passato, crescere nella coltivazione della sapienza del cuore, della pace della coscienza, del controllo dei sentimenti.

La Parola del Signore ci insegna che questo punto di vista ci viene offerto da Dio. Da lui riceviamo la grazia di condividere il suo sguardo stesso sulla nostra storia e in particolare sul nostro passato: uno sguardo lucido e misericordioso, che non teme di misurarsi anche con il male accaduto, affinché ne venga sempre del bene.

La Parola del Signore del Signore attesta che Dio “si ricorda”, che non si dimentica. “Nella nostra umiliazione il Signore si è ricordato di noi, perché il suo amore è per sempre” (Sal 136,23) – dice il Salmo. E nel Magnificat la Madre di Dio proclama: “Ha soccorso Israele suo servo ricordandosi della sua misericordia” (Lc 1,54). L’ultima parola del ladrone crocifisso insieme con Cristo suona così: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42).

Che Dio “si ricorda” significa che in un preciso momento egli fa emergere la sua costante disposizione amorevole verso gli uomini e le donne che ha creato e a cui è affezionato. Questo suo “ricordarsi” è in realtà il dare conferma in quel momento della sua permanente disposizione di bene; è il cogliere l’occasione per intervenire e mostrare la sua grazia, sfruttando le pieghe che si vengono a creare quando il tessuto del vivere umano diventa duro e cattivo e quindi faticoso e doloroso. In queste pieghe egli è capace di fa spuntare il germoglio della vita, offrendo testimonianze della sua provvidenza amorevole. Ogni scenario di ingiustizia e di malvagità vede sempre testimoni, spesso silenziosi, di eroica carità. Questo significa che Dio “si ricorda” e in questa prospettiva anche simili eventi meritano di essere ricordati: “Dove abbonda il peccato – direbbe Paolo – sovrabbonda la grazia”.

Dunque il nostro modo di ricordare è partecipazione al modo in cui Dio si ricorda dell’umanità. Noi guardiamo al nostro passato nella consapevolezza che Dio è perennemente fedele alla sua volontà di salvezza ed è sempre pronto a cogliere l’occasione per suscitare il bene da ogni evento della storia umana. In questo modo è possibile essere consolati dal ricordo del bene compiuto, ricevuto e visto ma anche dal dolore che ha causato il male provocato, ricevuto e visto. In questo modo il ricordo diviene sempre costruttivo e mai distruttivo, consolante e mai frustrante, sorgente di speranza e mai di angoscia.

Il punto di vista nel quale ci collochiamo per guardare al nostro passato è quello offerto dall’esperienza d’amore scaturita dalla croce del Signore Gesù, e prima ancora, dal mistero del suo Natale. L’apostolo Paolo lo esprime così: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”. E ancora: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire…ci potrà mai separare dall’amore di Dio, che in Cristo Gesù nostro Signore” (Rm 8,37-39).

In questa celebrazione dell’Eucaristia noi consegniamo dunque al Signore questo anno che ormai si chiude. Insieme a lui ricordiamo il bene che è stato compiuto e il dolore provocato dal male che ha ferito il mondo. Ricordiamo non solo per non dimenticare ma per sperare. Ricordiamo fiduciosi nella Provvidenza di Dio e nella potenza della sua benedizione. Ricordiamo per ringraziare e lodare, perché il suo amore è per sempre e il nostro passato, presente e futuro riposano sicuri in questa eternità che è colma di misericordia.

+PIERANTONIO TREMOLADA 31 dic 2017 21:23