lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
di VITTORIO DE GIACOMI 03 ott 2022 08:20

Unità pastorale: attese e identikit

L’Unità pastorale non è… una comunità, se intende inserirsi nel processo di annuncio del Vangelo nella cultura odierna, dovrà maturare alcuni caratteri essenziali. Anzitutto dovrà tener presente che stiamo vivendo la fine di un “clima di cristianità”. In seconda battuta non potrà non considerare come la diminuzione del clero sia una situazione in evoluzione che sta portando a una revisione dei soggetti pastorali.

Ultimo carattere da maturare è la consapevolezza dei fedeli laici come soggetti attivi dell’agire pastorale. Rispondere alle sfide di oggi come comunità ecclesiale richiede l’uscire da una forma “prete centrica” e addentrarsi in una forma di Chiesa in cui il Popolo di Dio è la comunità che evangelizza. Questo presupposto teologico, che era già maturato con le nuove istanze ecclesiologiche del Vaticano II, non aveva però mai avviato cammini di aggiornamento territoriale. L’avvio di questi cammini è stato acceso e accelerato oggi, dall’incombente necessità di garantire un sacerdote a ogni comunità, alla luce del drastico calo di presbiteri. Non si tratta semplicemente di accorpare parrocchie e di ripensare alcuni incarichi tradizionalmente affidati ai sacerdoti: si tratta di iniziare un cammino di ripensamento della forma che la Chiesa ha assunto nel corso della storia.

Le difficoltà. Purtroppo – in diverse situazioni – si sta assistendo come a guidare la costruzione delle Unità pastorali (da parte di chi ne ha la responsabilità: presbiteri, consigli pastorali…) non ci sia tanto la logica teologica conciliare, quanto piuttosto la necessità di gestire una crisi organizzativa che si è trasformata in una crisi simbolica della Chiesa. In questa situazione il rischio è quello di vedere molte delle parrocchie – per secoli luoghi di vita relazionale di annuncio del Vangelo – accorpate in Up e ridotte a sole erogatrici di “servizi religiosi” dentro una logica parroco-centrica che vede l’accentramento di esperienze ecclesiali diverse come soluzione organizzativa-gestionale migliore. Il rischio è quello di far diventare l’Up il fine e non il mezzo per l’annuncio del Regno.

Cambiare prospettiva. L’urgenza pastorale è cambiare il punto di partenza: non una necessità organizzativa, ma un’azione pastorale di uomini e di donne che esercitano in comunione i propri specifici carismi (ministri ordinati, ministri istituiti laici, religiosi, ministri di fatto…). Alcuni strumenti, anche normativi, ci sono (Spiritus Domini, Antiquum ministerium…) e il momento è favorevole. L’Up non è una semplice somma di parrocchie, ma un nuovo soggetto missionario. Non è nemmeno l’unità della pastorale, ma la differenziazione delle realtà verso obiettivi comuni e condivisi a livello teologico-pastorale. L’Up non è un lifting per le parrocchie in difficoltà, ma il passaggio verso uno stile di comunione incarnato nel territorio. Non è un punto di approdo, ma uno strumento per ripensare l’essere Chiesa nell’oggi accorgendosi che lo Spirito ancora chiama ed ancora raduna. L’Up non è una super parrocchia, non è una parrocchia più grande, non richiede un cambio di scala di misura. Essa è un cambio di stile, l’uscita dalla gerarcologia piramidale: non è possibile costruire una Up attorno al super-parroco, esso è chiamato a celebrare l’Eucarestia e a essere animatore di vocazioni e ministeri, lasciandosi ridefinire nella sua identità di ministro dalla comunità che è chiamato a servire. L’Up non è nemmeno l’improvvisazione di un laicato animato da sole buone intenzioni; la rinnovata ministerialità laicale richiede alla Chiesa locale di progettare percorsi di formazione per quei laici/famiglie che sono chiamati ad assumere un ufficio ecclesiale. Occorre formare gli operatori pastorali verso tre coordinate fondamentali: biblico-spirituali; teologico-pastorali; pedagogico-relazionali. Occorre non cadere però nell’equivoco del clericalizzare i laici: non si tratta di colmare vuoti lasciati dal calo dei preti, ma di cogliere spazi in cui lo Spirito chiama. L’Up non è guidata dall’organizzazione matematica, ma da ciò che lo Spirito continuamente suscita: il primato non è giuridico ma pneumatologico. L’Up è quindi prima di tutto una nuova forma mentis che i battezzati (tutti: presbiteri e non) sono chiamati ad assumere. Siamo immersi in un deciso e decisivo processo, lo stiamo sapendo accogliere? La storia delle nostre comunità – che può essere un gioioso futuro animato dallo Spirito oppure lo spegnimento per aver ingabbiato il Suo soffio – passa dalla “forma” che stiamo dando alle Unità pastorali.

VITTORIO DE GIACOMI 03 ott 2022 08:20