Costanza Miriano: l'obbedienza rende liberi
La giornalista e scrittrice Costanza Miriano porta la sua testimonianza su "Obbedienza e libertà" alla festa "Verso l'Altro". Ecco un'intervista dove anticipa alcuni temi
Giornalista e scrittrice, Costanza Miriano ha una schiera di
seguaci che la seguono e la
leggono in continuazione sul suo blog e sui tanti giornali con i quali
collabora (Avvenire, Il Timone, Credere, Il Foglio…). Scrive di temi non banali
(vita, spiritualità e famiglia…) in aperto contrasto con il pensiero unico che
su taluni argomenti sembra ormai avere la meglio. Non le interessa affrontare
una battaglia culturale, ma piuttosto preferisce concentrarsi sulla
quotidianità e su quello che la quotidianità con le sue gioie e le sue fatiche
ci può insegnare. Sposata, ha quattro figli, due maschi e due femmine. Ha
pubblicato “Sposati e sii sottomessa (2011)”, che è diventato un caso
letterario in Italia, ed è stato tradotto in vari Paesi (tra cui la Spagna dove
“Cásate y se sumisa” ha provocato molte polemiche). Poi si è resa conto che era
necessario scrivere un altro libro per spiegare alle donne come parlare agli
uomini: è nato così “Sposala e muori per lei” (2013). Nel 2015 è arrivato
“Obbedire è meglio” e nel 2016 “Quando eravamo femmine”. Venerdì 23 settembre
alle 21, all’interno della festa “Verso l’Altro” presso la scuola Madonna della
Neve dei padri carmelitani ad Adro, la scrittrice Costanza Miriano parla
proprio di “Obbedienza e libertà”. Ecco alcune anticipazioni
E se parliamo della libertà sessuale?
La libertà venduta a noi donne come libertà sentimentale e
sessuale si è tradotta in solitudine e in dolore. Le donne che accettano di
obbedire alla maternità e all’accoglienza dei figli sono apparentemente private
di libertà ma in realtà poi sono felici, perché sono davvero realizzate.
Cosa significa parlare di obbedienza nel quotidiano?
Più che una battaglia identitaria e culturale, mi interessa
portare una parola sull’obbedienza nel quotidiano, sul fatto che obbedienza
significa obbedienza alla propria vocazione, alla malattia di un figlio, a una
separazione subita… La battaglia cultura è, purtroppo, persa. Mi interessa
aiutare le persone che faticano a obbedire alla propria realtà. E tutti alla
fine si confrontano con la croce, con la fatica e con la sofferenza. Sui piano
culturale si può litigare per ore, ma vicino a uno che sta in croce è più
facile dire “guarda questa croce ti salva, Dio è vicino”. Il marito che deve
assistere la moglie, la moglie lasciata ma fedele al matrimonio… sono tante le
piccole obbedienze del quotidiano: la spesa, il traffico e tutte quelle rotture
di scatole che vorremmo evitare ma che ci salvano e fanno il nostro bene.
Tendiamo a pensare che se tutto ci andasse bene (soldi, lavoro, salute, amore…)
saremmo felici, invece c’è un’inquietudine in noi che non funziona, c’è un
vuoto, un’assenza, il bisogno di Dio. E Dio, per un mistero che non so
spiegare, lo incontriamo proprio nella fatica e nella croce: è una via per
arrivare a lui. Se impariamo a considerare le fatiche e le piccole avversità
come un’occasione di incontro con lui, allora davvero la giornata cambia. Ogni
contrattempo è un’occasione di incontro. Questo è un messaggio per tutti, anche
per chi crede di non credere, perché tutti alla fine abbiamo nostalgia di Dio.
Hai scritto che la famiglia è “soprattutto un posto divertente; è l’unico sistema in cui, a differenza del resto delle situazioni, si fa il tifo perché vinca l’altro”. Perché allora viene descritta come un luogo triste?
Sono secoli di propaganda nei quali siamo stati invitati a ribellarci a qualsiasi vincolo e a qualsiasi legame, sottolineando che l’uomo da solo è compiuto e felice di se stesso. Abbiamo bisogno di una relazione vera e feconda per essere felici. Questo lo possono confermare tutte quelle persone che hanno obbedito alla voce del mondo e poi si ritrovano sole.
Cosa hanno sbagliato le comunità nei corsi prematrimoniali?
Dovremmo essere più capaci di comunicare che l’idea dell’amore romantico è una grande balla. Cresciamo con l’idea del Principe Azzurro che arriva e trasforma la vita in qualcosa di gratificante. Ma la realtà è molto più bella ma è anche molto diversa. Dovremmo essere capaci di comunicare la bellezza di un amore vero, di un amore fatto di impegno; dobbiamo accettare l’idea che l’altro possa deluderci come noi possiamo deludere l’altro. In ogni famiglia ci sono dei momenti di fatica nei quali non si parla la stessa lingua. Dovremmo comunicare non tanto la bellezza (noi cristiani siamo famosi perché diciamo che la famiglia è bella, giusta e buona) ma dovremmo imparare a dire che la famiglia è anche fatica ma che non ci si deve preoccupare: dietro la fatica si nasconde un’enorme bellezza. Si impara veramente ad amare. Bisogna recuperare l’orgoglio della missione di essere cristiani e di proporre un modello che funziona; il cuore dell’uomo è fatto per questo amore “per sempre”.
Il card. Biffi scrisse che “chi sta col Vangelo senza sconti e senza attenuazioni, e perciò parla di distacco dai beni, di valore della castità, di amore disinteressato, di matrimonio indissolubile, di assoluta onestà negli affari, di perdono dei nemici, di sofferenza accettata dalle mani di Dio, costui apparirà necessariamente al mondo di oggi come un personaggio strano, sprovveduto, pazzo… Dovremo tenerlo presente, quando ci sentiremo suggerire che bisogna adattare la religione agli usi e costumi dell’uomo di oggi; si tratta piuttosto di trovare all’uomo di oggi una testa che vada bene per il messaggio di Cristo” (da Stilli come rugiada il mio dire. Omelie per le Domeniche del Tempo Ordinario. Anno B, Bologna 2015, pp. 79-80)
Noi cristiani siamo ormai un isolotto piccolo sull’Oceano.
Vedo che le persone lontane a volte non capiscono neppure l’abc… Nei giorni
scorsi in televisione il ministro Giannini prima è stata contestata sulla buona
scuola, poi ha strappato molti applausi parlando di omofobia e di bullismo
davanti a un genitore che aveva sollevato il tema dell’educazione sessuale in
classe. C’è un consenso generale su questi temi e una lontananza impressionante
dalle posizioni cristiane. La richiesta di quel genitore era sacrosanta: non
imponete una visione, ma lasciateci liberi. Ormai alcune parole chiave del
progressismo sono talmente radicate che quasi non ce ne rendiamo conto.
In nome delle libertà individuali spesso si calpesta chi ha un pensiero differente...
La battaglia finale è sulla libertà dell’individuo ma è tanto
irragionevole e aggressiva da schiacciare la libertà di chi non la pensa allo
stesso modo. La legge sull’omofobia, ad esempio, vuole eliminare la nostra
libertà di pensare diversamente i temi dell’omosessualità e delle unioni civili.
Aspettiamo le linee guida, ma se dovesse essere veramente imposta per legge
l’educazione sessuale nelle scuole senza il consenso dei genitori si starebbe
andando contro la libertà educativa.
La campagna di prevenzione sulla fertilità non è stata accolta bene….
C’erano alcuni temi e toni della campagna che potevano essere
migliorati, in particolare la foto sul preservativo non mi sembra il modo di
promuovere la fertilità. Mi è sembrata, comunque, una campagna ragionevole.
Tante mie coetanee si sono ritrovate fuori dall’età fertile senza avere preso
coscienza della presenza di un’età fertile. Siamo cresciuti con l’idea di
difenderci dalla possibilità di avere figli. C’è un’età in cui le donne hanno
la possibilità di fare dei figli. Questa mi sembrava, laicamente, una premessa
molto intelligente. Il Ministero non diceva che chi sceglie di non avere figli
sbaglia, diceva “sappiate che potete averli solo in una certa fase della vita”.
Alla mia generazione nessuno ha mai detto questo…. Quando sono rimasta incinta
a 27 anni, il medico mi ha detto: “Facciamo una prima visita e poi una entro i
tre mesi perché poi deve decidere…”. Ma decidere cosa? Questa è la mentalità
che ha vinto.