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Norcia
di DANIELE ROCCHI 23 dic 2016 10:15 Ultimo aggiornamento 22 dic 2016 10:15

I presepi fioriscono anche sulle macerie

Le popolazioni terremotate si preparano a vivere il loro primo Natale dopo il sisma del 24 agosto e quelli successivi del 26 e del 30 ottobre. Esattamente quattro mesi dopo la prima grande scossa

Un presepe recuperato dai Vigili del Fuoco, “a rischio della vita”, da sotto le macerie e di ciò che resta della pericolante torre campanaria del santuario della Madonna Bianca, ad Ancarano, borgo nei pressi di Norcia, distrutto dal sisma del 24 agosto, 26 e 30 ottobre. Da qualche giorno accoglie chi arriva nel vicino campo di accoglienza: camper, tende e roulotte, disposte attorno ad una tensostruttura che diventa, all’occorrenza, mensa, luogo di riunione e ludoteca. Quasi una piccola “Alamo” di resilienti per nulla disposti ad arrendersi al terremoto, anzi. Tenaci e risoluti a ricostruire ancora. “Per noi sarà un Natale diverso – raccontano Andreina e Silvana, che nel sisma hanno perso le case – non abbiamo più nulla. Ci stringeremo insieme come una grande famiglia. Ci aspettano momenti difficili ma dobbiamo ricominciare”. L’esperienza della ricostruzione post sisma del 1997 non è stata dimenticata e ora si ripresenta, forse più dura, visto che “non abbiamo più soldi”. Dietro il presepe recuperato, l’albero di Natale e un piccolo carretto usato dai tanti “Babbo Natale” volontari, che a turno, da tutta Italia arrivano per portare doni ai bambini del campo. Ce ne sono una ventina, sui circa cento ospiti che qui abitano da 4 mesi: 24 agosto – 24 dicembre, vigilia di Natale. Una coincidenza di date che per nessun terremotato ha il sapore di una beffa ma quello di stimolo e di forza. Una fede che resiste. L’impegno della Chiesa. “Signore, il terremoto ci ha tolto quasi tutto – recita una preghiera affissa nel tendone adibito a chiesa – ma non ci ha tolto la fede in te. Tu sei con noi nell’ora della prova…”: Ancarano come Norcia, Spoleto, Accumoli, Amatrice, Arquata e Pescara del Tronto e tanti altri paesi e borghi del Centro Italia colpiti dal terremoto che da questo Natale cercano e chiedono forza. La storia di queste terre, culla del monachesimo benedettino e scrigno di spiritualità francescana, lo dimostra. Da sotto le macerie si estraggono anche i presepi. La fede si rinvigorisce e trova altre testimonianze visibili. Nel duomo di Spoleto i giovani del Centro italiano di solidarietà don Mario Picchi, hanno realizzato un presepio usando macerie del santuario della Madonna delle Grazie di Norcia, distrutto dal sisma e nella cui area sta sorgendo, grazie anche a Caritas Italiana, il centro pastorale dell’intera zona del nursino. Sarà questa la parrocchia per tutto il tempo della ricostruzione e anche oltre. La città di san Benedetto vive questi giorni di Natale con poche luci, accompagnata dai rumori delle gru che muovono i ponteggi necessari a mettere in sicurezza i resti della basilica di San Benedetto e della vicina concattedrale. La cuspide di quest’ultima si trova ai piedi del presepe di piazza san Pietro a Roma. “Un segno – sottolinea l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, monsignor Renato Boccardo – del bisogno di ricostruzione materiale e spirituale” e un monito “alla coscienza che l’Europa deve avere delle sue radici cristiane”. Da Norcia alla vicina Cascia, dove pochi giorni fa è stata riaperta la basilica di Santa Rita. Sotto la cupola, ora in sicurezza e davanti l’urna della “Santa dell’impossibile”, è stato allestito il presepe. Il rettore della basilica, padre Bernardino Pinciaroli parla di un Natale nel quale “pregheremo per tutte le popolazioni terremotate, perché non vengano dimenticate. Speriamo nella presenza sempre più viva e operosa delle istituzioni”. Le parole del rettore trovano eco in quelle di suor Natalina Todeschini, superiora delle agostiniane di Cascia. La comunità delle religiose ha fatto da poco rientro nel convento lasciato subito dopo il sisma. Da dietro la grata del parlatorio invita: “andiamo avanti con speranza. Il terremoto ci sta insegnando a essere più essenziali. In pochi secondi possiamo perdere tutto ma il Suo amore resta”. “Richiamo all’essenziale”. Meno di 50 chilometri separano Cascia da Amatrice, nel Reatino. Qui il terremoto ha mietuto il maggior numero di vittime, oltre 200 delle 298 totali. Non c’è famiglia qui che non pianga un parente o un amico. A Natale soprattutto. La Valle Santa francescana non è distante. I frati di Greccio, dove il Santo di Assisi nel 1223 inventò il primo presepe, hanno donato 70 piccole Natività alle famiglie di Amatrice. “Il presepe di Francesco – dice il vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili – è un richiamo all’essenziale, tutto è rivolto al Bambino che irradia la sua luce nella notte”. Il senso di precarietà è dato, come spiega il vescovo, dalla “incognita della ricostruzione. Le casette in costruzione sono un primo passo. Ma è necessario anche il sostegno all’economia per consentire alla gente di Amatrice di restare”. Ruspe e mezzi meccanici hanno iniziato la rimozione delle macerie. La Chiesa non manca di far sentire il suo sostegno. L’istituto “Don Minozzi”, la diocesi di Rieti e Caritas italiana stanno allestendo il Centro parrocchiale “Sant’Agostino”, per dare agli abitanti di Amatrice, una chiesa e un luogo di aggregazione. Fatti e segni concreti di vicinanza che in questo tempo di Natale acquistano ulteriore significato: “abbiamo consegnato anche 30 moduli abitativi ma in lista ci sono circa 80 richieste” riferisce il parroco di Amatrice, don Savino D’Amelio che annota: “Siamo pieni di bottiglie, panettoni, dolci, giocattoli, ma non so quanto possano sollevare gli animi. Dobbiamo trovare la forza di guardare al Natale come luogo e tempo di speranza”. Valgono le parole di cinque detenuti del carcere di Sulmona che hanno realizzato a mano un presepe esposto nel parco cittadino: “vogliamo farvi sapere – scrivono i detenuti agli abitati di Amatrice – che siete presenti nelle nostre preghiere affinché possiate trovare quella pace e quella normalità interrotta alcuni mesi fa” dal sisma. Un Natale precario, essenziale e fragile, tuttavia, riflette mons. Boccardo, “dentro queste macerie la speranza non è mai venuta meno. Celebrare Natale in questa situazione aiuta e provoca la speranza”. Anche dalle macerie è possibile costruire qualche cosa di nuovo.

DANIELE ROCCHI 23 dic 2016 10:15 Ultimo aggiornamento 22 dic 2016 10:15