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Brescia
di ROBERTO MERLI 17 mar 2016 00:00

Non c’è peggior prigione che la morte del proprio figlio

Vittime della strada. In Italia muoiono 10 persone al giorno, 51 rimangono riportano un disabilità acquisita superiore al 33% e 723 (sempre al giorno) sono i feriti. Leggi la riflessione di Roberto Merli, presidente dell'associazione Condividere la strada della vita

Una prevenzione seria deve essere intesa a 360 gradi partendo, in primis dalla materia curricolare di educazione civica nelle scuole in ogni ordine e grado come – tra l’altro – già previsto dall’art. 230 del Codice della Strada, per poi concentrarsi sulle campagne di sensibilizzazione (sfruttando i canali di informazione nazionali, social ecc…) per poi proseguire con un intervento reale di messa in sicurezza (e quindi manutenzione) delle strade. Non ultimo, un aumento dei controlli da parte delle forze dell'ordine.
Se questo tipo di prevenzione fosse stata fatta in passato oggi, probabilmente, il reato di omicidio stradale non avrebbe nemmeno senso esistere per il semplice fatto che non ce ne sarebbe nemmeno stata la necessità di istituirlo. Purtroppo le cose non sono andate come sperato e il numero dei morti sulle strade è sempre troppo alto per una società a cui piace definirsi “civile”.

Ecco allora che, in assenza di una prevenzione seria e ficcante, ci si trova costretti ad “aggredire” il problema (in pieno stile italiano) con l’aspetto repressivo, sanzionatorio, nei confronti del trasgressore. Inevitabilmente l’omicidio stradale ha portato con sé, e continuerà a portare, una serie di interminabili discussioni, dividendo i cittadini tra favorevoli e contrari.

Chi si schiera dalla parte dell’omicidio stradale applaude: dopo tanti anni di battaglia, finalmente, viene riconosciuto da parte dello Stato, un ritrovato senso di giustizia nei confronti di chi ha subito il torto di aver perduto un caro sull’asfalto. Altri, invece, tra cui i politici che si sono stracciati le vesti urlando allo scandalo per la severità della pena prevista dal nuovo reato, non hanno gradito sollevando rumori fortemente antagonisti. La posizione di noi, familiari di vittime della strada, di fronte alla discussione, è di forte perplessità.

Probabilmente i signori Onorevoli - e più in generale chi è avverso al reato di cui stiamo parlando - non comprende realmente ed ignora cosa significhi perdere il proprio figlio per colpa della sconsiderata condotta di guida da parte di una persona che ha abbondantemente superato il limite per abuso di sostanze alcoliche piuttosto che per quello dell’uso di sostanze stupefacenti. Prima di scagliarsi contro la nuova legge bisognerebbe che tutti, Onorevoli compresi, provassero a fare il gioco delle parti. Che provassero a diventare loro stessi familiari vittime dirette di un omicidio stradale, che provassero, una buona volta, ad intercalarsi nei panni di un genitore alla cui porta suonano un paio di agenti in divisa con in mano un sacchetto contenente un portafoglio, un telefono cellulare, un paio di anelli ed un orologio per annunciare la morte di un figlio o di un proprio caro.

Che provassero ad immaginare a come si sentirebbero scoprendo, successivamente, che la tragedia si è consumata per la prepotenza stradale - o la superficialità - da parte di un conducente che, nonostante a conoscenza dei rischi e pericoli a cui si può andare incontro esagerando, abbia deciso, ugualmente, di andare oltre, di mettere a repentaglio la propria vita e, soprattutto, quella di altri innocenti. Parafrasando, con amara ironia, un notissimo slogan pubblicitario di qualche anno fa: “…provare per credere”. Si cari Onorevoli o cittadini che tanto protestate… dovreste provare per credere che significa perdere un figlio per colpa di un ubriaco o drogato. E allora vedreste che anche la nostra battaglia prima, e la perplessità poi di fronte a tanto ostruzionismo, non è poi così biasimevole. In Italia muoiono al giorno 10 persone, 51 rimangono riportano un disabilità acquisita superiore al 33% e 723 (sempre al giorno) sono i feriti. Questi dati sono, a tutti gli effetti, paragonabili ad un bollettino di guerra e non da nazione civile. Come ho riportato in alto non c’è peggior prigione che la morte del proprio figlio. Dicano quello che vogliono i fortunati Onorevoli che per bontà loro (almeno fino ad oggi visto che nessuno può considerarsi immune dalle tragedie stradali) non sono stati coinvolti in questo tipo di tragedia.

A loro ricordo che un condannato, dopo il periodo di espiazione della pena, riprende la sua vita; i familiari delle vittime della strada la loro pena se la portano fino all'ultimo loro respiro... perché non è vero il tempo è un gran dottore, che tutto guarisce: semplicemente ti insegna a conviverci.
ROBERTO MERLI 17 mar 2016 00:00