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Brescia
di MARIO RICCI 21 lug 2016 00:00

Brescia: il calcio è donna

Dal rischio di sparizione nel 2006 alla Champions League e al “triplete” nella stagione appena conclusa. Dieci anni di battaglie e sacrifici. Il tutto partito da una telefonata in una calda estate di agosto

Dalle stalle alle stelle. Per una volta il procedimento è avvenuto al contrario. Agosto 2006, ricevo la telefonata di un imprenditore che chiede aiuto. Che crede nello sport ma che a Brescia non riesce a farlo. Il suo lavoro principale è realizzare inizialmente mobili per poi arrivare ad essere un colosso dell’arredamento. Stiamo parlando di Giuseppe Cesari, presidente del Brescia Calcio Femminile, ai più conosciuto come Ostilio Mobili. Ne è passata di acqua sotto i ponti: attualmente le rondinelle sono la società più blasonata in Italia e conosciuta in campo europeo vista la recente partecipazione in Champions League.

Giornata. Giornata caldissima, si presenta gentilmente, pacatamente e in poche parole mi spiega che la sua squadra, neo promossa in A2 e subito retrocessa, rischia di scomparire dopo poco tempo che l’aveva rilevata. Per attirare l’attenzione l’anno precedente le giocatrici avevano realizzato un calendario senza veli (o quasi). Da li il disperato tentativo di impugnare la penna e il telefono per sensibilizzare la stampa locale e i comuni dell’hinterland bresciano affinchè dessero la possibilità − quantomeno − di avere un campo di calcio. Le prime magliette, le borse, le trasferte le paga direttamente lui grazie al mobilificio. Ma i soldi non bastano, o le cose si fanno bene altrimenti meglio lasciar perdere. Intanto le giovani calciatrici che chiedono di iscriversi aumentano, la richiesta è tanta. Cesari è solo: battaglie durate anni con la “minaccia” di spostare tutto – compreso il patrimonio giovanile − nella vicina Bergamo avendo la sede in quel di Coccaglio perché in città nessuno era disposto a capire la lungimiranza del progetto. Ha sempre tenuto il nome Brescia senza mai esser riuscito a giocarci una partita di campionato a Brescia. Di fronte allo sconfinamento, qualche coscienza si è mossa. La risonanza mediatica e, a furia di insistere, qualche mano ha cominciato a tendersi. In dieci anni esatti la metamorfosi: una crescita impressionante, tanto da risalire in serie A, riuscire ad ottenere un campo in città e – per i recenti appuntamenti internazionali – disporre addirittura dello stadio Rigamonti.

Che belle soddisfazioni, vero, patron Cesari? Il suo Brescia adesso ha adombrato anche i ben più pagati e famosi colleghi maschi! Dal 2011 al 2016 ha conquistato tre Coppe Italia, due Supercoppe Italiane di fila ed altrettanti scudetti. In soldoni: nella stagione appena conclusa è arrivato addirittura il “triplete”. E per la prossima stagione, una presentazione con paillettes e lustrini ad anticipare il ritiro avvenuto mercoledì 19. Come è giusto che si meriti questa società che ha sempre creduto in quello che stava facendo e il tempo gli ha dato ragione. Squadra rafforzata, ovviamente, ma i trionfi sportivi passano per un attimo in secondo piano ripensando a quel “tragico” (sportivamente parlando) agosto del 2006. Mi piace ricordare quella telefonata, mi piace pensare che ognuno ha fatto la sua parte. Ed ora sotto con il basket: il percorso è lo stesso, la speranza che si arrivi allo stesso lieto fine è la medesima.
MARIO RICCI 21 lug 2016 00:00