Piovanelli: dall'oratorio alla serie A
Non aveva le spalle strette, nemmeno la maglia numero sette e di certo non aveva paura quando mister Maestrini lo schierava nel San Giulio, squadra dell’oratorio del Villaggio Sereno, con ragazzi di due anni più vecchi di lui. Che fosse poi l’oratorio, dove aveva iniziato tanti anni prima, quello che sarebbe stato il fondatore della Voluntas è solo una coincidenza. Marco Piovanelli era un predestinato. Dopo qualche anno va alla Voluntas, quindi al Brescia Calcio, dove si afferma come uno dei gioielli più preziosi del vivaio. Classe 1974, ha fatto una buona carriera come professionista, anche se gli esperti affermano che avrebbe potuto fare molto di più visto le potenzialità. Nel Brescia ha esordito molto giovane prima di passare alla Lazio. Le altre compagini dove ha militato sono: Piacenza, Pistoiese,Verona, Genoa e Carrarese…
Lei fu il gioiello di mezzo, collocato tra la “covata” Bortolotti-Luzardi-Corini-Ziliani e quella Baronio-Pirlo, ne era consapevole?
Ah! ride (nda). Ogni annata aveva la propria covata: più prolifica e meno prolifica. Con Corini ho giocato in prima squadra nel Brescia e con Baronio alla Lazio; con Pirlo mi sono solo allenato. Di tutti si capiva cosa sarebbero diventati.
Per lei, che ora è allenatore, è stata una fortuna essere stato allenato da tre maestri: Clerici, Lucescu e Zeman?
Mettici anche Prandelli. Peccato solo che ultimamente non gli siano andati bene alcuni campionati. Clerici, alla Voluntas già 35 anni fa, era proiettato verso il calcio del futuro. Ti insegnava a raggiungere il risultato con il gioco, con il fraseggio, ma sempre rispettando l’avversario. Era un innovatore: ti aiutava a coltivare il sogno di fare quello che ogni bambino che gioca cerca di raggiungere. Lucescu non ha bisogno di commenti: lo dimostra la carriera longeva e ad alto livello che sta facendo. Quando facevo la spola tra la primavera e la prima squadra aspettava che finissi l’allenamento per farmi allenare con lui un’altra mezz’ora, una fortuna. Zeman era diverso da tutti gli altri. Se dovessi essere un presidente di serie B, lo prenderei: le sue punte segnano sempre almeno 20 gol a testa, certo bisogna correre. Se fosse stato meno rigido sulla convinzione del “4-3-3” in ogni situazione di gioco, forse avrebbe raccolto di più.
Nel marzo del 1994, nel glorioso stadio di Wembley, conquistate la Coppa Anglo-Italiana, cosa si ricorda di quel giorno?
Ricordo ogni istante; fu molto emozionante giocare e vincere davanti a tantissimi tifosi bresciani venuti a Londra in quello stadio mitico. È stato affascinante anche tutto il cammino che ci ha portato alla finale. Si giocava in stadi ricchi di storia e sempre esauriti. Quella fu anche l’ultima partita che si giocava a Wembley, prima della ristrutturazione.
Perché dopo Brescia scelse la Lazio, si dice ci fosse anche la Juventus?
A 15 anni mi voleva la Juventus e a 16 la Roma, ma non me la sono sentita di lasciare tutto e trasferirmi. Brescia aveva un ottimo settore giovanile e il mio sogno era esordire in prima squadra con la squadra della mia città. Dopo c’e’ stata la Lazio.
Aveva un modello di calciatore al quale si ispirava?
No, nessuno. Avevo iniziato a giocare come centravanti, in seguito sono diventato centrocampista. Da centrocampista, osservavo molto Corini, perché giocavo nel suo ruolo.
Il calcio è in continua evoluzione, le piace quello di oggi?
È cambiato moltissimo rispetto ad una volta. È diverso il modo in cui ci si approccia alla partita. Prima c’era l’allenamento e la partita: ora prima della partita c’e’ uno studio attento e “millimetrico” del particolare. Si arriva alla gara che si sa tutto dell’avversario, la tecnologia ha portato più informazioni e si cerca di sfruttarle al meglio.
Ora che è allenatore non si confronta mai con i sui ex compagni di squadra: Simone Inzaghi, Di Matteo, Brocchi e Nesta?
Ah ride!(n.d.a) Qui si tratta di livello top. Ogni allenatore porta avanti il proprio ideale di calcio in cui crede. Io personalmente ho la mia idea che mi sono fatto con l’esperienza. Mi sento regolarmente con Cristian Brocchi che è stato mio compagno al Verona. Ho seguito il suo lavoro alla primavera del Milan e lo sto seguendo ora al Monza: è un ottimo allenatore.
Quando si può dire che un allenatore è bravo?
Quando sa leggere velocemente la partita e mettere in campo rapidamente le contromosse, questo fa la differenza. Se alleni le giovanili, invece, è importante essere credibile, solo cosi ti possono seguire. Saperli motivare al momento giusto spiegando loro lo scopo delle esercitazioni che si eseguono è molto importante.
Cosa fa ora Marco Piovanelli?
Non alleno più per questioni di lavoro, perché faccio l’agente assicurativo da 13 anni per le Generali di Castiglione delle Stiviere (via Ascoli). Ho due figli: tra famiglia e lavoro non mi rimane tanto tempo e il calcio oggi ne richiede parecchio.