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Roma
di REDAZIONE ONLINE 02 apr 2015 00:00

10 anni fa la morte di Karol Wojtyla, il Papa Santo: "Non rassegnatevi"

Poco dopo le 21 del 2 aprile 2005 terminava la sua esistenza terrena Giovanni Paolo II, il papa arrivato dalla Polonia e che ha contribuito al cambiamento del mondo. Il ricordo della Radio Vaticana

Il 2 aprile del 2005, 70 mila persone in Piazza San Pietro e il mondo intero collegato in diretta televisiva accompagnarono gli ultimi istanti di vita di Giovanni Paolo II. L’annuncio della sua morte, alle 21.37, chiudeva una lunga e straordinaria pagina di storia, non solo ecclesiale, dominata dalla figura del Papa polacco che pochi anni dopo sarebbe stato proclamato Santo. Questo il ricordo di Alessandro De Carolis pubblicato sul sito della Radio Vaticana.

“Rare volte accade che un luogo in un punto preciso del mondo fermi il divenire delle cose. Che il tempo in quel luogo, e in quel punto, rallenti fino quasi a solidificare l’infinito brulichio degli affari umani in uno stesso gesto, un medesimo pensiero, in un’ultima speranza. Offrendo a milioni di persone l’impressione di essere, per una forza non umana, vicini anche se agli antipodi, uniti anche se persi in labirinti di divisioni, prossimi a migliaia di cuori che per una particolare sincronia hanno preso a condividere gli stessi sentimenti: “Benedici il Signore, anima mia, Signore, mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore (...) Tu stendi il cielo come una tenda (...), fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali del vento…”

Si è verificato questo raro fenomeno nelle ore che hanno preceduto un’ora e un minuto precisi, le 21.37 del 2 aprile 2005. È successo in un luogo, Piazza San Pietro, e in un punto, sotto una finestra illuminata e scrutata da decine di migliaia di sguardi con l’intensità con cui si fissa un’eclissi a rovescio – le lacrime a proteggere gli occhi e qualcosa a mordere dentro perché si sa che alla fine del suo passaggio il disco oscuro non avrà restituito la luce: “Carissimi fratelli e sorelle, alle 21.37 il nostro amatissimo Santo Padre Giovanni Paolo II è tornato alla Casa del Padre…”.

Milioni di orfani a queste parole. Smarrimento di palpebre che si serrano e dita che sbiancano aggrappate alla catena del Rosario. Il Papa “venuto di un Paese lontano” e che di lì a poco sarà il “Santo subito” è volato via per andare ad affacciarsi alla finestra della Casa del Padre. Però sulla terra è stato 27 anni di fuoco. E un fuoco così non lo spegne la morte. La sua fiamma crepita e rischiara ciò che il senso di vuoto sembra ingoiare. E soprattutto consola:“Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Non abbiate paura!”.

Già sotto la finestra che adesso illumina la pace di un corpo sfinito, la memoria collettiva comincia il suo lavoro. Giovanni Paolo II riprende a parlare, liberato dall’ultimo bavaglio della sofferenza. Parla nelle mille angoli delle confidenze sussurrate alla luce delle candele e il naso nel fazzoletto. Nel battito di labbra di tanti soliloqui che vogliono risentirlo e ripeterselo. Nei mille “Guarda, io ero proprio là quando il Papa disse…”. Dalle 21.38 del 2 aprile 2005, Piazza San Pietro è silenzio di preghiera e insieme mosaico di ricordi nei quali Karol rivive fin da quando la sua voce era tuono e padrona dei confini:“O Cristo! Fa’ che io possa diventare ed essere servitore della tua unica potestà! Servitore della tua dolce potestà! (...) Fa’ che io possa essere un servo! Anzi, servo dei tuoi servi”.

Ha avuto parole per tutti e per tutto Giovanni Paolo II, capace di portare con sé ogni categoria di persone, di ogni distanza geografica e umana, a varcare soglie di speranza mai sperate. Anche quando, dopo il Giubileo e la fine del secolo delle guerre mondiali, la nuova era ricominciava con la guerra al terrorismo e le stesse miserie di sempre. Chi il 2 aprile piange Papa Wojtyla, non sta piangendo un uomo della resa. Piange e ricorda un difensore della fede che la malattia renderà insicuro nei passi, mai nella sua missione, nella roccia del suo annuncio, anche quando la forza diventa logora: “Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti”.

Negli ultimi ricordi il tuono ormai è un ansito sottile. L’uomo il cui il fuoco dentro continua ad ardere non è più quell’ampio e solido braciere da cui parole e azioni si sono diffusi nel mondo per un tempo che pareva infinito. Al tramonto di Karol, ogni parola è un passo penoso, strappato alla china di una malattia che toglie al corpo qualcosa ogni giorno. Ma chi prega e piange e ricorda quella sera di dieci anni fa – gli occhi sulla finestra ancora accesa – sa con certezza, come se lo avesse udito di persona in quella stanza, che l’ultimo fiato del figlio esausto e ardente sarà stato speso, flebile tuono, per Lei al cui abbraccio sempre si è affidato:
“Ti rinnovo, per le mani di Maria, Madre amata, il dono di me stesso, del presente e del futuro: tutto si compia secondo la tua volontà (...) perché possiamo con Te procedere sicuri, verso la casa del Padre. Amen!”
REDAZIONE ONLINE 02 apr 2015 00:00