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Brescia
di REDAZIONE ONLINE 21 dic 2015 00:00

Misericordia e giustizia riparativa

Sistemi giudiziari, agenti di reato, vittime e percorsi riparativi nell'intervista a Luciano Eusebi, ordinario di diritto penale alla Cattolica, raccolta in occasione del Ritiro dei politici di sabato scorso al Centro Paolo VI

La misericordia e le sue declinazioni in ambito giudiziario. È questo il tema affrontato da Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nel corso del tradizionale incontro – avvenuto sabato 19 dicembre al Centro Paolo VI di Brescia – fra il vescovo Luciano Monari e le persone impegnate in politica e nel sociale. Nella maggioranza dei sistemi giudiziari la misericordia è un “atteggiamento del dopo”, quasi fosse una concessione a chi attende di essere giudicato. Eppure la giustizia – direttamente connessa con la misericordia – dovrebbe essere “uno stile dell’agire nei confronti del male che incontriamo” ha sottolineato Eusebi. La cultura occidentale coltiva da secoli quell’idea della giustizia che, invece, sembra contrapporsi alla misericordia e al perdono, guardando solo alla “ritorsione”, rispondendo al “male con il male”. Il reato, tanto più se di rilievo penale, si configura come una frattura in seno alla società, una frattura che nell’attuale percorso giudiziario, il più delle volte, non viene sanata. Non sussiste, infatti, la dimensione riparativa, quel percorso di recupero dell’agente del reato che permette, “per quanto possibile, la conciliazione” fra quest’ultimo e la vittima come ha sottolineato Eusebi nell’intervista che segue.

Qual è oggi la situazione?
Dobbiamo tenere presente che la Costituzione fu chiaroveggente, comprese che lavorare per il recupero significa lavorare per il rafforzamento dell’ordinamento giuridico. La persona recuperata attesta la validità della norma e, non a caso, ciò che teme maggiormente la criminalità organizzata e proprio la defezione: il fatto che una persona sappia riconoscere l’inadeguatezza, l’ingiustizia di un suo comportamento e sia disposta alla riparazione. Modelli di giustizia fondati puramente sulla ritorsione hanno dimenticato la necessità dell’impegno politico sui fattori che favoriscono la criminalità. Facciamo solo degli esempi molto semplici: l’esistenza di paradisi bancari, una cattiva legge sugli appalti, l’esistenza del nero fiscale, la distruzione dei servizi sociali sul territorio sono tutti fattori che favoriscono la criminalità. Lavorare su questo chiede impegno e qualche volta non rende sul piano elettorale. L’altro aspetto sul quale si deve agire, in maniera molto più concreta, piuttosto che il chiedere sofferenza fine a se stessa nei confronti dell’autore del reato, è il contrasto degli interessi materiali che stanno a monte dei reati. Su questo troppo spesso si trovano delle resistenze.

C’è uno strumento poco utilizzato, la mediazione penale...
È una risorsa che negli ultimi vent’anni in tutto il mondo viene valorizzata, una sorta di rivoluzione copernicana. Nel processo penale non c’è dialogo perché ‘tutto quello che dirai sarà usato contro di te’. La mediazione crea, invece, un contesto nel quale si può parlare secondo verità, perché ciò che si dice in mediazione non verrà riferito al giudice. Si riferirà al giudice l’esito, la qualità della mediazione, nella mediazione ridiventerà quindi possibile ridiscutere, approfondire, confrontarsi sul perché e il per come di un certo comportamento, di una certa relazione. Se la mediazione procede bene sarà lo stesso soggetto che ha violato la legge che farà di sua iniziativa una proposta riparativa e la attuerà in concreto. Questo risponde molto al bisogno della stessa vittima di vedere riconosciuta un’ingiustizia perché il suo bisogno non è quello della ritorsione. La vittima a cui si offre soltanto la ritorsione, pensiamo al cosa estremo della vittima che va a vedere l’esecuzione della condanna a morte negli Stati Uniti, non torna pacificata, rischia di essere vittimizzata una seconda volta: non solo ha patito il dolore del reato ma si è vista diventare una persona peggiore, chiusa nel suo rancore. La mediazione, invece, consente anche alla vittima, per quanto possibile, un profilo di pacificazione che si fonda proprio su questo recupero di un giudizio di ingiustizia su quanto accaduto.
REDAZIONE ONLINE 21 dic 2015 00:00