Il sistema economico preoccupato per i dazi al 15%
I primi commenti di Paolo Streparava (Confindustria Brescia) e di Ettore Prandini (Coldiretti)

Donald Trump l’ha definito “colossale e storico”. I premier dei principali Paesi Ue l’hanno invece accolto con diffidenza e preoccupazione. L’accordo raggiunto in Scozia tra il presidente degli Stati Unito e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sui dazi lascia l’Europa con l’amaro in bocca. Il punto di incontro su un'unica aliquota tariffaria del 15% per la stragrande maggioranza delle esportazioni europee negli Stati Uniti, (rispetto a una media precedente del 4,8%), tra cui auto, semiconduttori e prodotti farmaceutici (sono previste delle esenzioni per comparti specifici quali alcuni farmaci generici, alcuni microprocessori, aeronautica e loro componenti, determinati prodotti chimici, risorse naturali, materie prime critiche, ndr), l’impegno Ue ad acquistare nei prodotti energetici dagli Usa per circa 750 miliardi e forniture dall'industria militare americana e a investire negli States fino a 600 miliardi di dollari, da sommarsi a quelli già in atto, oltre a garantire flessibilità sul mondo tech, IA e criptovalute e mettere da parte i due pacchetti di contromisure ai dazi da 92 miliardi di euro pronti a scattare il 7 agosto, più il nulla di fatto sui dazi relativi ad acciaio e alluminio, rimasti al 50%, non è stato giudicato dai Paesi Ue un grande successo, tanto che qualcuno ha parlato addirittura di “Caporetto” dell’Europa che, in aggiunta a quanto stabilito in Scozia, si è impegnata anche a rinunciare all’ipotesi della web tax sui colossi statunitensi che operano in Rete. Pochi, pochissimi i commenti positivi. Tra questi, quello della premier Giorgia Meloni: “Giudico positivamente il fatto che si sia raggiunto un accordo, ho sempre pensato e continuo a pensare che un'escalation commerciale tra Europa e Stati Uniti avrebbe avuto conseguenze imprevedibili e potenzialmente devastanti”.
A riportare la preoccupazione del sistema Italia sulle ripercussioni dei dazi al 15% ci hanno pensato i principali attori dell’economia nazionale che, per altro, avevano già avvertito che anche la soglia del 10% a cui puntava il governo Meloni puntava, avrebbe avuto un impatto pesantissimo sull’economia italiana.
A Brescia il primo a esprimere insoddisfazione e preoccupazione è stato Paolo Streparava, presidente di Confindustria. “L’introduzione dei dazi statunitensi al 15% - ha affermato in un comunicato stampa - rappresenta un fattore di profonda incertezza per l’economia italiana e per l’intero comparto manifatturiero europeo. Si tratta di una decisione che colpisce un sistema già provato da una domanda globale in rallentamento, e che rischia di compromettere ulteriormente le nostre capacità di penetrazione su un mercato strategico come quello americano.”
“Non dimentichiamo – continua Streparava nel suo commento all’accordo Usa-Ue sui dazi - che, in questo contesto, la Germania, da sempre il nostro principale partner commerciale, non ha ancora mostrato segnali concreti di ripresa. Questa stagnazione pesa inevitabilmente anche sulla nostra economia, che si troverà ora ad affrontare una duplice sfida: la debolezza del mercato europeo e le nuove barriere imposte oltre Atlantico.”
“Sebbene le prime stime sull’impatto dei dazi sul PIL nazionale appaiano contenute, sappiamo bene che le misure commerciali di questo tipo hanno tuttavia effetti strutturali e difficilmente quantificabili nel breve periodo – sono altre considerazioni del presidente di Confindustria Brescia –. Anche una soglia decisamente inferiore sarebbe potuta diventare altamente penalizzante, se considerata nel quadro attuale e alla luce dell’andamento del cambio euro-dollaro, che ne amplifica gli effetti negativi”. La più recente simulazione effettuata dal Centro Studi di Confindustria Brescia (dazi al 15% + svalutazione del dollaro da gennaio ad oggi) indica una contrazione dell’export di ben 339 milioni, poco meno del 2% sulle esportazioni complessive della provincia. “Sono comunque numeri – afferma ancora Streparava - che, verosimilmente, sottostimano il fenomeno: infatti, tali simulazioni non considerano gli effetti indiretti dei dazi, quali la perdita di fatturato a carico delle imprese bresciane, derivante dalla minore domanda da parte di clienti italiani ed europei, a loro volta esportatori verso il mercato nordamericano. In ogni caso stiamo lavorando in questi giorni a una survey che coinvolge oltre 200 associate per raccogliere valutazioni sulle strategie di reazione messe in atto. Va infine sottolineato come persistano ancora significative zone d’ombra sulla portata effettiva della tassazione, soprattutto in relazione a specifici prodotti. La mancanza di chiarezza normativa rende difficile per le imprese pianificare le proprie strategie industriali e commerciali.”
Anche Coldiretti ha espresso tutta la sua preoccupazione. “L’accordo con tariffe al 15% - è il commento del presidente nazionale Ettore Prandini - è sicuramente migliorativo rispetto all’ipotesi iniziale del 30% che avrebbe causato danni fino a 2,3 miliardi di euro per i consumatori americani e per il Made in Italy agroalimentare. Tuttavia, il nuovo assetto tariffario, avrà impatti differenziati tra i settori e deve essere accompagnato da compensazioni europee per le filiere penalizzate anche considerando la svalutazione del dollaro. Dobbiamo aspettare di capire bene i termini dell’accordo e soprattutto di leggere la lista dei prodotti agroalimentari a dazio zero sui quali ci auguriamo che la Commissione Ue lavori per far rientrare, ad esempio, il vino che altrimenti sarebbe pesantemente penalizzato”.
Come già ribadito, Coldiretti ha sottolineato che non possono essere ammessi in Italia, (come invece chiede Trump che in Scozia ha ricevuto una parziale apertura, ndr) prodotti agroalimentari che non rispettano gli stessi standard sanitari, ambientali e sociali imposti alle imprese europee.” È fondamentale – sono ancora considerazioni di Prandini - che l’Unione europea continui a difendere con fermezza il sistema delle Indicazioni Geografiche, che rappresentano una garanzia di qualità e origine, e un presidio culturale ed economico del nostro cibo”.
