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di PAOLO CORSINI 31 ago 2018 08:45

Colpito dalla sacralità di Paolo VI

Già impegnato in politica, il prof. Paolo Corsini ricorda l’azione del Pontefice per la vita di Aldo Moro

C’è stato nella mia vita un momento particolare, tra i tanti, nel quale ho guardato a Paolo VI con profonda affezione, quando il Papa, che sempre mi ha stimolato sotto un profilo intellettuale per la finezza della sua elaborazione teologico-dottrinale –pure in occasione di sue prese di posizione assai severe e critiche in rapporto a scelte politiche in passato da me assunte- ha fatto sentire alta la sua voce di fronte al rapimento di Aldo Moro e all’eccidio della sua scorta, sino all’orazione al funerale dello statista democristiano brutalmente assassinato dalle Brigate Rosse. Non è questa la sede per ricostruire le molteplici iniziative, la fitta rete di relazioni, i tentativi promossi in sede vaticana al fine di contribuire alla liberazione dalla “prigione del popolo” dell’on. Moro.

Se ne è occupata ampiamente una pubblicistica che ha focalizzato la propria attenzione sui giorni che intercorrono tra il 16 marzo e il 9 maggio del 1978. E’ comunque largamente documentata l’azione di Papa Montini intrapresa a diversi piani, per altro non tutti appariscenti o, come comprensibile, di rilievo pubblico. Il Pontefice, è mosso anzitutto da un sentimento di personale amicizia verso il leader della Dc, che risale alle frequentazioni ai tempi della Fuci e certamente si sente in sintonia con i valori che sostanziano la cultura politica, di impronta cattolico-liberale e cattolico-democratica, di Aldo Moro. E d’altra parte si pone in continuità con la tradizione della Santa Sede di stare in prima linea allorquando si tratta di compiere azioni umanitarie. La presenza di Montini nel caso Moro assume però ulteriori significati di più generale portata, che illuminano la personalità del Papa e la sua visione del rapporto tra etica e Stato, la sua concezione stessa della civiltà umana. Come noto dopo l’appello, lanciato il 2 aprile al Regina coeli, in cui lascia intravedere una volontà di intermediazione, Paolo VI il 22 aprile fa pubblicare sull’ “Osservatore Romano”, quando l’ultimatum delle Br sta per scadere, una lettera aperta ai rapitori in cui rivolgendosi a “voi, uomini delle Brigate Rosse- io non vi conosco e non ho modo di avere alcun contatto con voi […] Vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Aldo Moro, semplicemente senza condizioni”-, invoca un “vittorioso sentimento di umanità” e si congeda con un “pur sempre amandovi”. In sostanza Paolo VI si spinge a un’umiliazione  personale –lui che è il Vicario di Cristo- sino a sottolineare un rapporto di evangelica fraternità e di amore cristiano verso dei terroristi e degli assassini, lasciando trasparire –nella citazione del “contatto”- l’interesse  a una interlocuzione diretta, a allacciare una qualche forma di rapporto. La stessa sottolineatura “senza condizioni” vuole fare intendere –qui una sopravvalutazione dell’intelligenza dei suoi interlocutori e una sottovalutazione del grado della loro ideologizzazione- che non agisce per conto dello Stato italiano e quindi non può interferire sullo scambio di prigionieri proposto dalle Br.

Un'appello, quello del Papa, che si pone dunque oltre il dibattito tra fermezza e trattativa e il cui fulcro sta nella sottolineatura del primato della vita, della dignità della persona, dell’essere umano sulla ragione “rivoluzionaria” e sulla ragione di Stato: un richiamo alla “forza della vostra coscienza” ribadito affermando che “un vero progresso sociale […] non deve essere macchiato di sangue innocente”. Come a dire che la democrazia non ha alternative ed è forma insuperabile della regolazione del conflitto. In sostanza Papa Paolo VI interpreta il tragico evento che vede in Aldo Moro una vittima sacrificale come un banco di prova della sua visione della “civiltà dell’amore”, come opportunamente è stato osservato. Una metamorfosi della politica in violenza e sopraffazione quando rinuncia a essere forma della carità. Ma c’è di più. Il 13 maggio in occasione delle esequie di Stato, del “funerale della Repubblica”, Papa Montini pronuncia un’orazione memorabile di timbro esclusivamente personale, religioso, ma capace di interpretare uno sgomento diffuso, un lutto nazionale, di dar voce al dolore di un intero popolo. L’intensità della figura del Pontefice, la figura di un profeta biblico che, rivolgendosi direttamente al Signore, lo chiama in causa –“Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro”- fa da contrasto con l’immagine di impotenza e vacuità della Politica presente in San Giovanni in Laterano. E ai miei occhi suggella di una sacralità autenticamente umana il ricordo che ancora coltivo del nostro Papa.

PAOLO CORSINI 31 ago 2018 08:45