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Brescia
di +PIERANTONIO TREMOLADA 27 mar 2021 21:12

L'amore tiene viva la speranza

Leggi l'omelia del vescovo Tremolada alla Veglia delle Palme in Cattedrale con il messaggio ai giovani

Giungiamo a questa Veglia della Palme, appuntamento tradizionale e atteso, portando ancora sulle spalle un pesante fardello di dolore e di incertezza. Lo scorso anno avevamo vissuto questo momento in piena emergenza sanitaria, mentre imperversava quella pandemia che ha strappato ai nostri affetti tante persone care e ha disseminato in tutti paura e sconforto. Ora, grazie ai vaccini, una luce si intravede alla fine del tunnel, ma ancora è tempo di sapiente allerta e di perseveranza.

Giungiamo a questa Veglia delle Palme accompagnati dalla Parola di Dio, luce amica della nostra vita. Abbiamo concentrato la nostra meditazione su di un testo particolarmente intenso del Vangelo di Giovanni, un brano che si apre con la metafora suggestiva della vite e dei tralci e che raggiunge il suo vertice nell’invito di Gesù a rimanere nel suo amore: “Come il Padre ha amato me – dice il Signore durante l’ultima cena con i suoi discepoli – così anch’io ho amato voi; rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). “Rimanere” significa qui – come la metafora stessa ci esorta a interpretare – non staccarsi, non andarsene, non recidere il legame, ma anche e di più, prendere dimora, collocarsi stabilmente, trovare pace e ristoro, fare dell’amore di Gesù la propria casa. Si intuisce che cosa il Signore ci vuole dire: l’amore che egli nutre per i suoi, cresciuto negli anni e ora proteso a raggiungere il suo vertice nel sacrificio della croce, si aprirà ad accogliere ognuno che non lo rifiuterà, che si lascerà attirare. Sarà una forza che conquista il cuore, farà sentire tutta la potenza di bene. Ogni sguardo a lui rivolto con sincerità sarà inondato dalla sua luce.

A questo invito fa seguito un compito molto preciso, che Gesù affida ai suoi discepoli nella forma di un comandamento. Egli dice: “Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12). Già in precedenza aveva dichiarato: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Qui occorre capire bene. Gesù non sta parlando dell’impegno di ciascuno di noi ad amare il prossimo, cioè ad accogliere generosamente ogni persona e ad assisterla nelle sue necessità, ma dell’amore che i suoi discepoli devono scambiarsi proprio in quanto tali. Si tratta dell’amore reciproco dei credenti, del bene che ci si vuole come fratelli in Cristo, della carità che fa esistere il “noi” della Chiesa.

La comunione vicendevole è la prima forma di testimonianza cristiana e dimostra che la redenzione si è compiuta: “Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita – scrive l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera – perché amiamo i fratelli” (1Gv 3,14). Amarsi come fratelli è il segno evidente che è avvenuta una rinascita: “In verità, in verità io ti dico – aveva detto Gesù a Nicodemo, venuto di notte a parlare con lui – se uno non nasce dall’alto non può vedere il Regno di Dio” (Gv 3,3). Chi è divenuto capace di amare, ha vinto la morte con il suo oscuro potere. L’altro non è più un nemico da combattere e neppure un estraneo da cui tenersi a distanza. È invece il destinatario di un sentimento sincero, di un desiderio limpido, che mira a cercare la sua felicità. Il volto dell’altro diviene caro e lo sguardo che lo raggiunge si riempie di simpatia e di benevolenza. Per la fede in Gesù, l’altro si trasforma in un fratello.

È quanto vorremmo veder attuato ogni giorno in ogni luogo di questa nostra amata terra. E invece troppo spesso accade il contrario: la storia ci consegna l’esperienza ricorrente di un antagonismo ostile, che facilmente sfocia nel conflitto. Assistiamo al manifestarsi abituale di una inimicizia diffusa, spesso mascherata o inconfessata, che avvelena le relazioni. Chiamati alla fraternità, viviamo invece nel timore gli uni degli altri, come costretti a diffidare di chi ci sta vicino. Eppure il desiderio più vivo che tutti portiamo nel cuore è quello di riposare sicuri nell’abbraccio affettuoso di persone amiche, uomini e donne di cui possiamo fidarci, che non ci faranno mai del male. Ecco, proprio questo è la Chiesa: l’abbraccio amorevole di persone care, unite dall’esperienza dell’incontro con il Cristo redentore; amici veri, che la fede ha reso amabili e amorevoli; fratelli e sorelle che grazie al Battesimo si sono radicati nell’amore stesso di Dio. Quella fraternità che dovrebbe contraddistinguere i rapporti all’interno dell’intera umanità, non dovrebbe mai mancare nella Chiesa del Signore. Essa, secondo la bella definizione di Lumen Gentium – la Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II su la Chiesa – è “segno e sacramento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1).

L’essenza del cristianesimo, infatti, è l’amore. Occorre dirlo, proclamarlo con chiarezza e ripeterlo senza stancarsi. Questo è ciò che il Padre della gloria si aspetta da noi e che il Signore Gesù raccomanda ai suoi discepoli. È il suo comandamento, l’unico che ci ha lasciato: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri” (Gv 15,17). Non è un ordine, perché l’ordine viene da un padrone o da un superiore in grado. È un comandamento, cioè la raccomandazione amica di colui che sta in alto e che per noi si è abbassato. Egli si è chinato su di noi per servirci e ha steso le braccia sulla croce per riscattarci. Come non sentire vincolante la parola di chi ci ha amato così? Come non considerarla affidabile, veramente degna della nostra considerazione? Come non accoglierla in totale disponibilità, riconoscendola capace di indicarci la via della vita? Ebbene, questa parola amica che viene dal cielo ci esorta alla fine a compiere un’unica cosa: ad amarci gli uni gli altri.

Se poi entriamo nelle profondità dell’amore testimoniato dai veri discepoli del Signore, ci rendiamo conto che esso è per sua natura trascendente. L’amore è irradiazione della stessa santità di Dio. Ha una radice misteriosa ed è esso stesso misterioso. Dell’amore vero, della sua bellezza e potenza, si potrà sempre fare esperienza, ma mai si potrà dominarlo. Nessuno saprà veramente di cosa si tratta, nel momento stesso in cui ne sentirà tutti i benefici. L’amore si offre sempre all’uomo come un dono che viene dall’alto, come acqua che zampilla nel cuore ma proviene da una sorgente sconosciuta. La Parola di Dio, che introduce nei segreti più nascosti, ci dice che questo luogo segreto dell’amore che salva è il cuore del Cristo, trafitto sulla croce: “Vennero dunque i soldati – si legge nel IV Vangelo – e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua” (Gv 19,32-34). Chi è in grado di comprendere e ci ha dato testimonianza, dichiara che in questo episodio dalla valenza simbolica si compie il disegno di Dio a favore dell’intera umanità: ognuno che crede potrà condividere l’amore dell’Agnello di Dio, potrà entrare in quel cuore con il proprio cuore. L’acqua unita al sangue, che discende lungo il corpo del crocifisso e va a lambire la terra, è principio di vita e di purificazione per l’intera umanità ferita dal male. Si compie così quanto Gesù stesso aveva annunciato: “Quando sarò innalzato da terra io attirerò tutti a me” (Gv 12,32).

Non potremo far torto a un amore così nobile e puro. Dovremo ricordare che l’amore del Cristo crocifisso ha una misura celeste e quindi domanda a noi di compiere in umiltà un lungo cammino. L’amore cristiano ha un costo molto alto. Non si improvvisa. È frutto di una conversione profonda e coraggiosa. Esige la morte di se stessi, il rinnegamento del proprio io padrone. Per giungere alla capacità di amare che è propria di Gesù, c’è bisogno di un nuovo modo di vedere le cose, di un nuovo pensiero, di una nuova mentalità. È necessario sfidare il mondo, con i suoi parametri di giudizio, le sue abitudini, le sue convinzioni. Occorre prendere le distanze e contestare apertamente uno stile di vita ormai compromesso, assumendone uno nuovo, decisamente alternativo. Amare infatti è smettere di odiare, di invidiare, di ferire; è smettere di pensare unicamente a se stessi, di considerarsi superiori agli altri ma anche di tenerli a distanza, di dare appagamento alle pretese esagerate del nostro io ingordo. Mai dovremo dimenticare che il mondo, con le sue tenebre, non è soltanto intorno a noi, ma è soprattutto dentro di noi e che dal profondo di noi stessi esercita il suo fascino perverso. Siamo chiamati a discendere con Cristo nel lavacro della sua redenzione, a spogliarci dell’uomo vecchio che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e a rivestirci di lui, lasciandoci inondare dalla sua luce. Amare è rinascere, guarire, rialzarsi, accogliere il dono della vita eterna nell’oggi del tempo e nel travaglio della storia.

L’amore poi si declina. Abbraccia l’intera vita e le conferisce di volta in volta la forma più adeguata alle varie circostanze. L’amore è infatti sinfonico, è armonia del bene con le sue varie risonanze. L’amore è come un diamante prezioso, che riflette in vari modi la luce di grazia in cui è costantemente immerso, cioè il mistero santo della Trinità di Dio. Alla scuola di Gesù, che proclama le beatitudini, impariamo che l’amore è un florilegio di virtù: è umiltà, mitezza, misericordia, coraggio, senso della giustizia, purezza di cuore, disposizione al sacrificio. Alla parola del maestro fa eco quella dell’apostolo Paolo. Egli ci ricorda che l’amore è paziente, è benevolo, non è invidioso, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non va in collera, non tiene conto del male ricevuto, non gode quando vede l’ingiustizia ma si compiace quando vede la verità.

Ancora, l’amore genera e tiene viva la speranza. Non si piega e non viene meno di fronte alla prova. Lo abbiamo visto in questi mesi di pandemia. Qui la prospettiva si allarga e giunge ad abbracciare il vissuto umano nel suo insieme. La speranza è infatti il respiro di tutta intera una società. Essa si fonda sul bene che ci si scambia nel presente, perché quel che si vede nell’oggi può essere ragionevolmente atteso anche per il domani. A chi vorrebbe dirci che la nostra fiducia nel futuro è pura illusione, potremo presentare le credenziali di quelle opere di amore che arricchiscono la vita quotidiana delle nostre comunità cristiane. Sono piccole luci che provengono dalla grazia di Dio e vincono il buio della notte.

A voi – cari giovani – è chiesto anzitutto di tenere vive queste luci, perché voi siete i primi annunciatori di un futuro di speranza. Niente è più grande dell’amore. Nulla gli si può paragonare. Come dice bene il Cantico dei Cantici: “Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che disprezzo” (Ct 8,7). Solo l’amare resterà e non avrà mai fine. Cesseranno infatti le profezie – ci dice sempre l’apostolo Paolo – ed anche tutti i doni straordinari dello Spirito, ma l’amore non cesserà mai, perché costituisce l’essenza stessa del mistero di Dio, cui siamo destinati a partecipare in eterno.

L’amore, infine, è grande e rende grandi. Non rende potenti, o famosi, o vincenti. Non riempie la vita di successi e di guadagni, né mai susciterà invidie e gelosie. L’amore rende grandi agli occhi di Dio e delle persone semplici e buone, che riconoscono la verità della vita là dove si manifesta. C’è infatti nell’amore il germe della vita eterna, che si sviluppa come dono gratuito di sé e si apre al sacrificio. Dice Gesù ai suoi discepoli: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). E prima ancora: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore produce molto frutto” (Gv 12,24). Occorre avere il coraggio di perdere la vita nello slancio dell’amore che si consuma, per gustare il frutto di una fecondità che ci oltrepassa immensamente. Diventeremo così testimoni della redenzione.

Ecco dunque, cari giovani, quel che il Signore vi chiede. Siate di quelli che credono nell’amore come forza che trasforma il mondo, ma non fatelo a parole. Cercate il segreto ultimo di questo amore attivo e fecondo. Amatevi come Cristo vi ha amato. Lasciatevi condurre da lui lungo le vie di una fraternità e di una amicizia le cui sorgenti si trovano molto in alto. Domandate la grazia di una conversione del cuore, il coraggio di un rinnovamento che viene dalla fede. Domandatevi sempre dove sta la verità e lasciate che sia la Parola di Dio a rispondere in voi. Non fidatevi delle risposte disinvolte del mondo: vagliatele con serietà e onestà. Il vostro amore sincero, anima delle comunità cristiane, sia la testimonianza che offrite al mondo di oggi guardando al domani, sia la ragione della vostra e della nostra speranza.

Vi auguro di cuore una santa Pasqua, nell’amore di Cristo crocifisso e risorto.

+PIERANTONIO TREMOLADA 27 mar 2021 21:12