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Esine
di REDAZIONE 17 nov 2020 08:00

La scomparsa di don Redento Tignonsini

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Nella serata di ieri la scomparsa del fondatore della Comunità di Bessimo. Nel pomeriggio aveva ricevuto la visita del vescovo Tremolada. Nel video la nostra intervista del 2016 in occasione del Premio Bulloni

Nella tarda serata di ieri si è spento, a causa di una grave malattia, don Redento Tignonsini, dal 2003 parroco di Sacca di Esine. La sua scomparsa ha destato un vasto cordoglio non solo nella sua comunità e nel territorio camuno dove era conosciutissimo non solo per la passione sacerdotale ma anche per l’impegno profuso per tantissimi anni nella lotta e nel contrasto a tante forme di disagio, a partire da quella della tossicodipendenza, ma anche in tutta la diocesi.  

La Camera Ardente è allestita presso l’Oratorio a Sacca di Esine. La Veglia Funebre con la S. Messa, presieduta da Mons. Gaetano Fontana Vicario Generale, avrà luogo mercoledì 18 novembre alle ore 18,00 presso la chiesa parrocchiale a Sacca di Esine.  Il Funerale, presieduto da mons. Pierantonio Tremolada, è previsto per giovedì 19 novembre alle ore 14,30 presso l’Oratorio a Sacca di Esine.Don Redento verrà sepolto presso il Cimitero a Sacca di Esine. Per lui e per i suoi familiari il nostro ricordo nella preghiera.

Proponiamo un ricordo del sacerdote scomparso, con quanto scritto sul sito della Cooperativa di Bessimo, da lui creata, da Guido Bertelli, socio della stessa da oltre 30 anni.

Don Redento Tignonsini era nato a Pian d’Artogne  il 19 ottobre 1933, e dopo un’esperienza come curato in Valcamonica e sette anni di missione africana con il popolo nomade dei Rendille nel deserto del Kenya, rientra negli anni ‘70 a Brescia, una città che insieme alla vicina Verona è pesantemente coinvolta dal fenomeno dilagante della tossicodipendenza da eroina che colpisce anche le fasce più giovani di una popolazione in forte crisi di identità ed attratta dallo sballo nelle sue diverse forme.

Don Redento si interessa agli emarginati e tossicodipendenti che sostano in strada concentrando la loro presenza in piazzetta Vescovado ed insieme a un gruppo di volontari con il consenso della Curia apre in una casa data in uso gratuito dalla parrocchia di Bessimo di Rogno (BG) una comunità rivolta all’accoglienza di emarginati giovani e adulti anche con forti problematiche di dipendenza da eroina ed alcool.

E’ il 29 agosto 1976, la struttura è perlopiù un rudere, la scala di accesso dal primo al secondo piano è crollata, e di conseguenza il primo nucleo di persone (don Redento, alcuni volontari e gli ospiti) si dedica alla sistemazione della casa che diventerà la “Comunità di Bessimo”, prendendo il nome dalla località all’inizio della Valle Camonica da cui la Cooperativa avrebbe poi preso il nome.

Senza molti riferimenti di esperienze analoghe in tema di comunità terapeutica in Italia (Mondo X apre alla fine degli anni ’60, il CEIS di Roma nel 1971, Comunità Nuova a Milano nel 1973, mentre San Patrignano in Emilia Romagna avrebbe aperto solo nel 1978) e nella totale assenza di servizi pubblici socio sanitari dedicati al fenomeno
delle dipendenze (chi fa uso di eroina in quegli anni è a cavallo tra ricoveri ospedalieri per tentativi di disintossicazione e ricoveri in psichiatria) ma con una incrollabile determinazione, la comunità, rivolta inizialmente all’emarginazione giovanile e adulta, si indirizza col tempo verso il fenomeno della tossicodipendenza, che oltre al territorio bresciano si è ormai diffusa anche nel territorio della Valle Camonica e in generale della provincia.

Con l’esperienza sul campo don Redento unisce l’accoglienza di persone con problemi di dipendenza da sostanze a numerosi incontri di prevenzione sui territori bresciano e bergamasco, che gli danno modo di raccogliere disponibilità e ambienti per ripetere l’esperienza comunitaria.

Dopo la costituzione della Cooperativa Sociale di Bessimo nel 1979, negli anni ‘80 si aprono le comunità di Rogno (BG), Concesio, che essendo vicino alla città è espressamente rivolta al reinserimento sociale delle persone al termine del loro percorso, Manerbio, Gabbioneta Binanuova (CR), la prima in Italia rivolta a nuclei familiari in cui i partner tossicodipendenti possono realizzare un percorso riabilitativo mantenendo con sé i propri figli, fino ad allora allontanati dai Tribunali dei Minorenni e collocati temporaneamente presso famiglie affidatarie per essere riaffidati ai genitori al termine del percorso.

Pur mantenendo la residenza presso la comunità di Bessimo, in cui è il principale riferimento per gli ospiti, don Redento periodicamente visita tutte le strutture della Cooperativa sociale, che con una visione di partecipazione democratica di tutti al bene comune ha contribuito a realizzare ed a stabilizzare intorno al nucleo degli operatori con il proprio responsabile.

Le intuizioni di don Redento relative al reinserimento sociale (in alternativa alle “Comunità di Vita” senza un percorso che terminasse con il rientro della persona nel contesto sociale) ed alla presa in carico dell’intero nucleo familiare (attrezzando strutture appositamente pensate all’intervento genitoriale ed alla presa in carico dei bambini con operatori dedicati alle attività con i minori) costituiscono un chiaro esempio dell’attenzione alla persona e del suo sistema, a fronte di interventi mirati solo ad affrontare i problemi individuali.

Dopo l’avvio del Servizio Accoglienza nel 1984 don Redento con i soci della Cooperativa apre la prima comunità femminile a Zanano di Sarezzo, un’altra comunità maschile a Paitone, la seconda rivolta ai nuclei familiari a Pontevico, ed altre comunità sullo stesso modello di accoglienza a Bedizzole, Sale Marasino, Capo di Ponte.

Sono anni difficili anche per la comparsa dell’AIDS, che decima la popolazione tossicodipendente soprattutto a causa delle infezioni nell’utilizzo delle siringhe, senza un intervento farmacologico valido nemmeno ad allungare la speranza di vita, rendendo l’intervento in comunità ancora più difficile non avendo molti degli ospiti colpiti dal virus alcuna prospettiva di sopravvivenza. Anche in questo frangente don Redento ha saputo dare speranza o quanto meno infondere la consapevolezza che ogni giorno va vissuto come fosse l’ultimo, nelle relazioni con gli altri e nell’impegno quotidiano.

Lo slancio dovuto alla grande richiesta di persone con problemi di dipendenza dalla Lombardia e dal nord Italia continua negli anni ’90 con l’apertura della comunità di Cividate Camuno, la prima per donne tossicodipendenti con figli, a cui seguono Pudiano di Orzinuovi nel 1996 e Gottolengo nel 1999.

Altra felice intuizione di don Redento è quella di un intervento non residenziale ma sulla strada rivolta a quelle persone che pur continuando a fare uso di sostanze possono essere ascoltate, ristorate, aiutate ed eventualmente indirizzate verso i servizi sanitari, sociali o terapeutici in base al loro desiderio ed alle loro necessità. Il Progetto Strada di Brescia nel 1994, quello di Bergamo nel 1997 e quello di Cremona nel 2000 (tutti attivi ancora oggi) sono la concreta testimonianza di questo impegno.

Solo al compimento dei 70 anni di età nel 2003 don Redento, ormai certo che la Cooperativa da lui costituita possa continuare ad operare stabilmente con le stesse finalità di allora, decide di chiudere il suo ciclo di sacerdote tornando in una parrocchia, per la prima volta come Parroco, alla Sacca di Esine (BS).

Il giorno in cui chiude la sua esperienza con la Cooperativa di Bessimo (27/04/2003) le diverse comunità avevano accolto poco meno di 3.200 persone di cui oltre 1.000 concludevano il loro percorso riabilitativo. Tra gli utenti accolti oltre 1.200 venivano dalla provincia di Brescia (235 di questi dalla città di Brescia).

Con il suo entusiasmo quasi 1.900 persone hanno seguito come collaboratori, operatori, educatori, professionisti nell’arco di 27 anni di attività don Redento in questa avventura, ma sono molti di più i volontari, le famiglie e le persone che hanno potuto sperimentare la felicità di arricchirsi nel fare del bene agli altri, anche quando gli altri sono persone “difficili”, ma non per questo meno meritevoli di sperare in un futuro migliore e di vivere una vita da protagonisti come dovremmo aspirare a fare tutti.

Il “ciao uomo” che usava spesso don Redento come saluto verso gli ospiti delle comunità è ancora oggi significativo di un intervento dove la persona, pur con le sua difficoltà, va sempre messa al centro dell’intervento e valorizzata nelle sue potenzialità.

REDAZIONE 17 nov 2020 08:00