lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Brescia
di M. VENTURELLI 26 nov 2015 00:00

Brescia Musei, scelte e strategie

Tino Bino commenta la decisione assunta da Palazzo Loggia di affidare alla Fondazione il patrimonio culturale mobile e immobile della città

Il Consiglio comunale di Brescia ha approvato nei giorni scorsi il nuovo contratto di servizio tra il Comune e la fondazione Brescia Musei che avrà in concessione per 20 anni il complesso di Santa Giulia, la pinacoteca Tosio Martinengo, il Castello e il Nuovo Eden. Un’approvazione che ha di fatto spaccato l’assemblea di Palazzo Loggia, come ampiamente riportato dalle cronace del consiglio comunale. Su questo importante passaggio amministrativo “Voce” ha sentito Tino Bino, profondo conoscitore della cultura bresciana e delle strategie a questa collegate.

Lati positivi. “Nella scelta operata dalla Giunta e votata dal consiglio comunale, seppure in mezzo a tante polemiche, c’è una parte che va nella giusta direzione ed è quella della valorizzazione del grande patrimonio bresciano”. Parte da qui la sua valutazione sulla scelta operata dalla Loggia di affidare per i prossimi 20 anni a Brescia Musei la gestione di buona parte del patrimonio mobile e immobile della cultura cittadina. “Un patrimonio – continua Tino Bino – che sta alla pari con quello di tante altre città europee di medie dimensioni. Una città che ha Santa Giulia e il Castello non può che essere una città che ha voglia e ambizione di diventare leader culturale almeno in ambito regionale”. Per raggiungere questi obiettivi, continua introducendo una prima osservazione critica, servono grossi investimenti e, prosegue, “anche grosse idee che non possono essere lasciate al pur autorevole cda di Brescia Musei e nemmeno all’assemblea di Palazzo Loggia”.

Mancanza. Quello che nel contratto di servizio tra Comune e Brescia Musei sembra mancare per Tino Bino è proprio la dimensione strategica e il momento di verifica. “La dimensione del carico che palazzo Loggia di fatto pone sulle spalle della Fondazione – sono le sue considerazioni – richiederebbe l’elaborazione di un grande progetto con ben chiara l’indicazione di chi deve fare cosa.
La parte scientifica, per esempio, poteva restare in capo a Palazzo Loggia, seppure all’interno della convenzione approvata”. Per Bino sarebbe stato auspicabile un coinvolgimento più ampio della città, anche in considerazione del fatto che Brescia è una città in grande trasformazione, una città in cui la cultura è destinata ad avere effetti determinanti non solo per l’integrazione, ma anche per il rispetto reciproco. Sulla verifica, invece, per Bino sarebbe bene che il contratto di verifica, proprio in virtù di quanto il Comune “chiede” a Brescia Musei, prevedesse un passaggio di prova. “Dato che a oggi si tratta di un’avventura che ha in sé molti elementi interessanti, ma anche qualche elemento di rischio – afferma – dopo i primi tre/cinque anni sarebbe doverosa una verifica”.

Fenomeno diffuso. Da profondo conoscitore dei processi culturali Tino Bino sa bene che quella dell’affidamento a fondazioni, soprattutto nel campo culturale, di situazioni organizzative è fenomeno sempre più diffuso. “ Si tratta però – continua – di avere ben chiaro che l’idea di una fondazione regge sul fatto che viene creata in un’ottica di compartecipazione tra pubblico e privato. Un solo esempio: la Fondazione della Scala di Milano ha un budget di 129 milioni d euro, ma di questi 120 le arrivano da sponsor privati”. La fondazione Brescia Musei non sembra, almeno per il momento, avere questa prospettiva, con “l’aggravante”di essere incaricata dal Comune anche della gestione, della tutela e della valorizzazione di spazi culturali. “Mettere in capo a Brescia Musei realtà come Santa Giulia, il Castello, la Pinacoteca – è il parere di Bino – è scelta da far tremare le vene nei polsi”. “Se la fondazione è stata pensata come strumento operativo del Comune – continua – questo avrebbe dovuto mettere a punto una adeguata strategia”. Come? “Con un coinvolgimento più ampio, con un dibattito che non si limiti al confronto segnato da scarso dibattito tra gli addetti ai lavori, ma si apra ai luoghi culturali della città”, è la sua risposta.
M. VENTURELLI 26 nov 2015 00:00