Gioco d'azzardo: occorre un cambiamento di rotta

Il gioco d’azzardo è un fenomeno, purtroppo, sempre in crescita. Le proiezioni sull’anno in corso fanno temere che si andrà a fine 2025 ben oltre un flusso di 160 i miliardi di euro immessi nella megamacchina in Italia. A pagarne le conseguenze sono sempre i più fragili. In questi giorni ci sono stati vari eventi che hanno richiamato l’attenzione sul settore e per rilanciare l’urgenza di intervenire per contrastare il sistema dell’azzardo legalizzato, riaffermare la dignità sociale e sostenere un’economia giusta, libera dalla dipendenza fiscale dallo sfruttamento della fragilità. Di questa problematica parliamo con il sociologo Maurizio Fiasco, presidente di Alea.
Cosa fa lo Stato per contrastare il fenomeno dell’azzardo?
C’è una profonda contraddizione nell’operato dello Stato italiano. Quest’anno, infatti, c’è una novità bizzarra: da un lato, sono trasmessi spot che cercano fondi (come l’8xmille) per combattere le dipendenze e, dall’altro, lo Stato trae crescenti introiti fiscali proprio da queste stesse dipendenze (gioco d’azzardo, alcol, tabacco, cibi ipercalorici).
Si parla di una “addiction fiscale” dello Stato, che si trova in una situazione di “doppio vincolo”: per mantenere il gettito fiscale, deve diffondere e cronicizzare la dipendenza tra i cittadini. Questa dinamica rende lo Stato finanziariamente dipendente dai consumi tossici, a scapito dei beni e servizi necessari alla vita quotidiana.
Quanto puntano ogni anno gli italiani nel gioco d’azzardo?
Le proiezioni indicano un incremento stimato del 36% per l’anno in corso, con un volume di “giocate” che ha raggiunto i 157 miliardi nel 2024 e forse toccherà i 168 miliardi nel 2025. Del resto, tra il 2006 e il 2024, le somme impiegate sono aumentate del 346%.
Lo Stato si sta arricchendo per l’incremento delle cifre spese?
Paradossalmente, no. L‘erario incassa relativamente meno nonostante l’impennata dei volumi, a causa di aliquote più basse e strategie di fiscalità di vantaggio per i concessionari (alcuni giochi sono tassati allo 0,98 per mille). Per mantenere o aumentare gli incassi per lo Stato e i margini di profitto per i concessionari, è necessario cronicizzare sempre più la dipendenza dei giocatori.
A raggiungere queste elevate cifre spese nell’azzardo concorre che tipo di giocatori?
Restiamo pure ai dati del 2018 dell’Istituto superiore di sanità, che hanno dimostrato rigorosamente che circa 20 miliardi di euro derivavano dalla dipendenza di massa. Osserviamo le proporzioni. Da un lato, meno di 4 miliardi di perdite provenivano dal cosiddetto “gioco responsabile” (giocatori sporadici). Ma la parte più significativa, ben 15,6 miliardi, sempre di denaro perso, proveniva da 5,1 milioni di “abitudinari”, tra i quali 1,5 milioni erano “problematici” o patologici. Questi ultimi, pur essendo una minoranza, sono per l’appunto quelli che perdono somme ingenti: nel 2018, un giocatore patologico perdeva in media oltre 8.400 euro all’anno (circa 23 euro al giorno), mentre un abitudinario non problematico circa 900 euro all’anno. L’economia del gioco d’azzardo si basa quindi sulla fidelizzazione e sulla dipendenza di massa.
Cos’è il “moral jeopardy”?
Il “moral jeopardy” è un termine che si riferisce alla pratica dell’industria dell’azzardo, come altre economie che danneggiano la salute, di finanziare la ricerca o “buone cause”, inclusi centri di cura per le dipendenze che esse stesse contribuiscono a creare. Insomma, una situazione ipocrita e un conflitto di interessi. La sponsorizzazione fornisce un “marketing reputazionale” per i concessionari, ma compromette la credibilità scientifica e sanitaria delle istituzioni di ricerca e cura che accettano questi fondi. Papa Francesco nel 2017, rivolgendosi al mondo dell’Economia di comunione, ha criticato aspramente questa pratica, paragonandola all’industria delle armi nel caso che pretenda di finanziare ospedali per curare i bambini mutilati dalle sue bombe, definendola “ipocrisia”.
Come viene redistribuito il denaro giocato nell’azzardo?
Immaginiamo un “sistema idraulico del denaro”, una metafora per spiegare come le somme liquide giocate scorrono nel circuito dell’azzardo. Il “budget dei giocatori” (il denaro perso ogni anno) riempie un serbatoio superiore. Attraverso un flusso di puntate, il denaro viene scende in un serbatoio sottostante. Una parte di questo flusso finisce riversato nella “cassaforte” dello Stato e dei concessionari (stock), mentre una parte rientra nel budget dei giocatori, alimentando un ciclo continuo di puntate. Il sistema, che prevede diversi cicli, porta progressivamente all’esaurimento del budget dei giocatori, massimizzando così il margine di profitto dei concessionari e l’entrata erariale, ma basandosi sulla perdita di denaro da parte dei consumatori di questo settore.
Lo sport di per sé è portatore di valori, eppure con il sistema delle scommesse favorisce il gioco d’azzardo e stravolge l’essenza stessa del gioco…
Non si gioca più per vincere, per costruire il risultato sul campo, ma per puntare su microeventi. Ogni calcio d’angolo, ogni fallo laterale, ogni azione diventa occasione di scommessa. La narrazione dello sport è stata smantellata, pezzo dopo pezzo. L’appassionato non segue più lo schema tattico o la strategia di squadra. L’attenzione è tutta sull’esito di una singola azione. E intanto, lo sport perde il suo senso, la sua epica.
Ha fatto molto clamore il caso Fagioli, qualche mese fa…
Questi giovani campioni non solo scommettono, ma faticano a trovare gratificazione nel proprio ruolo. Come se la gloria sportiva non bastasse più, rispetto al brivido della vincita. Sono vittime di un sistema che li ha lasciati soli, ma anche responsabili delle loro scelte. Sulle spalle dei calciatori c’è un doppio peso: devono rendere sul campo e garantire ritorni sugli investimenti. Il messaggio sportivo è annacquato, l’aspettativa è esasperata. Ormai sono settori interconnessi il mercato finanziario delle società calcistiche, l’andamento delle scommesse, le quotazioni dei calciatori, le prestazioni reali, i videogiochi monetizzati (Fifa/Ea Fc, loot box, Nft), tutto a scapito dei valori positivi dello sport.
Cosa pensa delle campagne di sensibilizzazione?
Dobbiamo constatare che molte di esse sono inutili. Non hanno inciso minimamente sulle regole. L’unica norma davvero efficace era il divieto di pubblicità e ora la si aggira. Le campagne attuali sono solo una foglia di fico, un pretesto per dire che qualcosa si sta facendo. Ma finché non ci sono provvedimenti concreti, resteranno vuoti slogan.
E la pubblicità? È ancora vietata?
La pubblicità generalista è vietata, ma solo sulla carta. Infatti, un gioco delle definizioni ha permesso il ritorno dalla finestra di ciò che il Parlamento aveva cacciato dalla porta. Nessuno, in sei anni, ha avuto il coraggio di denunciare questa anomalia.
Chi è il primo target dei consumatori di gioco d’azzardo?
Negli ultimi quindici anni, la partecipazione minorile al gioco d’azzardo è cresciuta. Colpa del marketing e di un contesto culturale che esalta il colpo di fortuna più dell’impegno.
Come si combatte il fenomeno dell’azzardo di massa?
Occorre un cambiamento strutturale serio. È importante sollecitare “visioni competenti” che possano addentrarsi nei meccanismi complessi del gioco d’azzardo e imporre una svolta alla politica pubblica del Paese. Bisogna stare in guardia contro i tentativi di banalizzare o screditare le critiche fondate, trasformandole in “frasi fatte”. L’obiettivo da porsi è invece stimolare l’interesse e la passione di coloro che potrebbero contribuire a un lavoro critico, imponendo un cambiamento di rotta nella gestione del gioco d’azzardo in Italia.
@Siciliani/Agensir
