Laici, Chiesa e Gay Pride
Gent. Direttore, ho letto con sincero interesse il suo articolo dal titolo “Il Gay Pride che non fa discutere”. “Non sono forse questi i temi dell’umano che dovrebbero vederli più protagonisti nel dibattito pubblico?”, chiede, con riferimento ai suddetti laici, in chiusura del suo articolo. Io non so risponderle se non con una semplice domanda
Gent. Direttore, ho letto con sincero interesse il suo articolo dal titolo “Il Gay Pride che non fa discutere”. “Non sono forse questi i temi dell’umano che dovrebbero vederli più protagonisti nel dibattito pubblico?”, chiede, con riferimento ai suddetti laici, in chiusura del suo articolo. Io non so risponderle se non con una semplice domanda: crede lei che, oggi, il laico che osi cimentarsi in questo tipo di dibattito facendo semplicemente riferimento al Magistero della Chiesa, senta generalmente il sostegno del clero locale e, più in generale, del popolo cattolico? Personalmente, da laico cristiano, la mia parte l’ho fatta ugualmente: le mie lettere al Direttore riguardanti il Brescia Pride, pubblicate da Bresciaoggi venerdì 9 giugno scorso ed oggi, 22 giugno, lo testimoniano. E come me hanno provato a discutere dell’evento altri semplici lettori dichiarantisi cattolici, sia nella stessa rubrica che nella analoga ospitata dal Giornale di Brescia: chi da una parte, qualcuno dall’altra. Sempre con riferimento ai laici cattolici mi permetto di farle poi notare quegli altri sedicenti cattolici che, con rilevanti ruoli istituzionali, hanno invece riempito con il proprio entusiasta appoggio al Pride le paginate che i quotidiani locali hanno dedicato all’evento: che si sentano, questi cattolici, più accolti a livello di Curia?
La Chiesa sta zitta, ed avrà i suoi buoni motivi, ma questi illustri cattolici parlano dalle tribune mediatiche e, se qualche altro laico prova a rispondere, la tribuna per lui si fa molto ma molto più stretta: cosa passa ai semplici fedeli? Ci sta bene? Ci interessa? Ne vogliamo parlare?
Entrando infine nel merito del Brescia Pride lei scrive che “bisogna dare atto che Brescia, sabato scorso, non ha subito col Gay Pride un “temuto” assalto folkloristico e macchiettistico, ma un’espressione del pensiero rispettosa e controllata”: la invito al riguardo a riascoltare quanto Vladimir Luxuria ha pronunciato dal palco di Piazza della Vittoria, tra gridolini di entusiasmo ed applausi, e mi permetto un’altra domanda: ma è proprio così sicuro che questa impostazione “rispettosa e controllata” che il Pride si è sforzato di tenere, anche se ci è riuscito solo fino ad un certo punto (vedi Luxuria), non sia stata altro che il frutto di un’astutissima strategia comunicativa che, viste le esperienze dei Gay Pride più sboccati e blasfemi e per questo meno facilmente spendibili e difendibili, si è voluta furbescamente perseguire a partire dall’ipocrita slogan #unirelacittà?