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di STEFANIA BOTTURI 06 giu 2022 09:30

La vita e la morte di Giacomo

La riflessione della Presidente de Il Nuovo Nido odv

Giacomo è il figlio di una amica di Milano, aveva 21 anni, si è suicidato martedì nel carcere di San Vittore. Stefania e Maurizio avevano adottato Giacomo diciotto anni fa. Per chi li conosce, sono un altissimo esempio di genitori: pazienti, attenti, seri, preparati, equilibrati, bravi. Giacomo si è suicidato con il gas dentro una cella del settimo reparto martedì a mezzanotte, a pochi giorni di distanza dalla morte violenta che si è procurato il ventiquattrenne Abou El Maati della cella vicina. "E noi lo abbiamo saputo solo mercoledì mattina, quando qualcuno ha avuto il pensiero di avvertirci", dice Stefania. A certi ragazzi è come se mancasse la pelle. L’ipersensibilità non consente loro di gestire le emozioni e finiscono per farsi molto male, se non sono curati. Si chiama “disturbo borderline di personalità a basso funzionamento” ed è incompatibile con il carcere. I genitori mostrano tutta la forza disperata di chi ha combattuto per tanti anni "contro" servizi di salute mentale che «fanno acqua da tutte le parti», dentro il carcere e anche fuori, sul territorio. Hanno l’urgenza di dare un senso al loro dolore: «Ci impegneremo perché non capiti a nessun altro».Erano i genitori attenti di due figli adottivi, ognuno problematico a proprio modo. Giacomo "pareva un angioletto. Era taciturno, anche troppo. Voleva la palla ma poi si sedeva a vedere giocare gli altri. Ad un certo punto si è come rotto un guscio. Ne è uscito un bambino più vero, ma esplosivo". Una serie di malintesi hanno determinato il peggio: i piccoli reati, i servizi sociali che lo hanno collocato in comunità educative e non terapeutiche, l’autolesionismo, le sostanze. Lo scorso agosto, per il furto di un telefonino, dritto a San Vittore.

A ottobre, perizie psichiatriche alla mano, la disposizione di trasferirlo in una Rems (Residenze subentrate nel 2014 alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari). Eppure il 31 maggio, a distanza di otto mesi e dopo altri tentativi di farla finita, Giacomo era ancora lì. ”Illegalmente” dentro, mentre doveva essere in una struttura di cura — piangono i genitori —. Se i servizi di salute mentale facessero il loro dovere, questi ragazzi al carcere non arriverebbero neanche. Non sono criminali. Per le loro condizioni psichiche non sarebbero neanche in grado di progettare reati. Non riescono a studiare o lavorare, non sono in grado di gestire i propri documenti, gli occhiali, le chiavi di casa. Non sono capaci di prendere la patente o rispettare un appuntamento qualunque. I servizi non li agganciano come dovrebbero". È stato fatto tutto, negli anni, perché quel ragazzo e la sua famiglia stessero un po’ meglio? La risposta dei genitori è un severissimo "no".

STEFANIA BOTTURI 06 giu 2022 09:30