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di GIUSEPPE DELFRATE 13 set 2021 13:29

Per una revisione del Reddito di cittadinanza

Ben conosco il sistema previdenziale, con tutti i risvolti assistenziali, contenuti nella legislazione italiana a partire dalle leggi in vigore da 50 anni ed altre seguenti.  Sono sempre più convinto che le finalità di ogni riforma debbano essere ispirate dal bisogno di colmare lacune, come avvenne negli anni “70 del secolo scorso, e contemporaneamente favorire una responsabile compartecipazione dei cittadini alle scelte dello Stato e degli organismi pubblici in genere. Cito la legge 328/2000 sulla riforma organica dell’assistenza, la quale riserva ruoli importanti anche ai Comuni ed al Privato sociale, ma che pare non sia più adeguatamente valorizzata e pure finanziata. Su questo versante dovrebbero essere i Sindaci ad elaborare proposte e chiedere finanziamenti. Con questa visione d’insieme dei bisogni e dei problemi mai potrei condividere la palese euforia del legislatore nel proporre il Reddito di Cittadinanza, che contiene pure il Reddito di Pensione sotto il profilo assistenziale. Avendo fatto l’operatore sociale per lunghi decenni ben ricordo che dal 1969 fu stabilito il diritto alla pensione sociale per coloro (quasi tutte donne) che non avevano maturato il diritto contributivo ad un trattamento pensionistico e naturalmente con dei limiti di reddito personali e del coniuge.           

Con il trascorrere del tempo il concetto di fondo fu sempre rivolto al rapporto assicurativo per ogni attività lavorativa, fermo restando l’aiuto dell’Ente pubblico, soprattutto da parte dei Comuni, per i casi di bisogno anche momentanei. Il Reddito di Inclusione che è in vigore da alcuni anni poteva e potrebbe essere rafforzato e gestito a livello comunale dove è più facile stabilire con i beneficiari dei programmi di inclusione in attività lavorative anche pertinenti la formazione professionale di ciascuno. Con i mezzi di informazione attuali possiamo ben conoscere domande – offerte di lavoro. Certo se ci sono opportunità bisogna scegliere il lavoro (anche se è impegnativo). Aggiungo soltanto che essendo il costo della vita molto inferiore in alcune Regioni rispetto ad altre, mentre gli altri parametri sono invariati, è facile far aumentare nel Meridione la percentuale di coloro che percepiscono il RdC e al tempo stesso svolgono alcuni lavori per i quali nessun contributi previdenziale viene versato. Così, magari, neppure avranno diritto alla pensione contributiva e lo Stato continuerà ad assisterli attraverso l’Assegno sociale.   

E qui sottolineo il mio totale disaccordo, concettuale e pratico, con quanto scritto su Voce dal portavoce dell’Alleanza contro le povertà il quale sostiene il bisogno della rincorsa del RdC verso quelle povertà che ci sarebbero, secondo l’Istat, ma che ancora non si sono incontrate con i benefici commisurati dalla normativa sul RdC. 

Da parte mia voglio sottolineare che i tanti problemi economici e sociali si devono affrontare con una visione culturale di partenza. L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Non sull’economia a prescindere dalla produzione e non sull’assistenzialismo.  Ed un Movimento politico che ha tratto ampio consenso mediante questa proposta di legge, che contrasta con il dovere Costituzionale di concorrere responsabilmente allo sviluppo della comunità, dovrà riconoscere le pesanti lacune di fondo ed i deboli risultati conseguiti. Queste sono le osservazioni sollevate da chi ritiene che la Politica serva per promuovere maggiore giustizia sociale, anche attraverso la responsabilità individuale e collettiva.

GIUSEPPE DELFRATE 13 set 2021 13:29